Le cinque crisi e i compiti del diritto costituzionale





LE CINQUE CRISI E I COMPITI DEL DIRITTO COSTITUZIONALE

di
Fulco Lanchester
SOMMARIO: 1-Il tema. 2 -Le cinque crisi. 3- La riqualificazione dei rapporti geopolitici di lungo periodo. 4-La crisi dello Stato sociale europeo. 5-La crisi della democrazia rappresentativa. 6-La crisi della costruzione europea. 7-La crisi italiana ovvero di una democrazia a basso rendimento. 8-Germania e Italia: due percorsi analoghi e divergenti

1-Il tema- Sul Corriere della sera del 7 luglio scorso Francesco Verderami ha messo in evidenza come la liquefazione del sistema partitico della seconda fase della Costituzione repubblicana renderebbe impossibile la gestione dei sacrifici, derivante dalla crisi economica , da parte di una maggioranza risicata delle prossime elezioni generali politiche . La grande coalizione sarebbe, quindi, una necessità, soprattutto per rassicurare i mercati. A differenza di ciò che è capitato in Germania ed in altre democrazie stabilizzate dove la grande coalizione costituisce un’evenienza che si concreta dopo un acceso conflitto elettorale tra forze legittimate, in Italia la prospettiva proposta è, invece, quella della coalizione preventiva ovvero della coalizione di emergenza sullo schema dell’union sacré o del Burgerfrieden. La velocità della crisi rischia di divorare anche le soluzioni, perché una simile prospettiva era implicita nel novembre 2012, mentre oggi lo stesso Monti parla esplicitamente: di governance europea insufficiente; di indecisione sullo scudo europeo; e di incertezza sul futuro politico italiano che aggravano la crisi. Si tratta di osservazioni che riguardano l’aspetto istituzionale e politico generale e particolare. A circa un mese dalla riunione dell'Eurogruppo di giugno le decisioni che sembravano essere state prese in quella sede(ricordo le dichiarazioni di vittoria di alcuni) sono state vanificate. Il Bundesverfassungsgericht non soltanto ha preso tempo fino al 12 settembre per fornire una risposta sullo scudo “salva stati”(chiedendo in maniera perlomeno “singolare” al presidente della stessa Jens Weidmann un parere sui tempi della pronuncia), ma gli ultimi sviluppi relativi all’ulteriore ricorso di Markus Kerber hanno fatto presagire un’attesa più lunga derivante dalla necessità di attendere la pronunzia della Corte di Lussemburgo sul ricorso dell’irlandese Thomas Pringle.
In un simile contesto, le elezioni amministrative italiane di aprile, che hanno evidenziato lo “sciogliersi” di alcuni maggiori partiti rappresentati in Parlamento, l’incremento del voto di protesta sia nella forma dell’astensionismo che di formazioniche possono essere definite antisistema. È ,dunque, naturale che riaffiorino con violenza le incertezze che hanno portato alla fine del governo Berlusconi, con crescendo rossiniano iniziato con le osservazioni di BCE e Banca d’Italia del maggio – giugno 2011, con le difficoltà dei successivi – luglio agosto, con il profondo rosso dello spread dei mesi di ottobre -novembre fino alla ibernazione formale del politico-partitico in favore del politico tecnico .
L’idea della convergenza tra tutte le forze del sistema per prefigurare in anticipo una grande coalizione per la prossima legislatura che raffreddi l’incertezza dei mercati e della speculazione si sta, dunque, indebolendo sulla base degli interessi divergenti dei protagonisti di un sistema partitico in liquefazione. In questo quadro il sistema politico costituzionale italiano ha fatto riferimento ad un’inedita soluzione odontotecnica con la costruzione di una protesi governativa basata fondamentalmente sul pilone del Capo dello Stato.
L’avvicinarsi della scadenza elettorale per le Camere e di quella per il Presidente della Repubblica stanno mettendo in sofferenza l’operazione tecnico politica. Il pilone balla(e il caso dell’intercettazione delle telefonate del Capo dello Stato da parte della Procura di Palermo , il conflitto di attribuzioni sollevato da Napolitano e le polemiche conseguenti la dicono lunga sull’indebolimento del Quirinale).
Di qui con l’aggravarsi della crisi il rincorrersi di ipotesi ancora inconfessate di utilizzazione dell’ art. 60 della Cost. (stato di guerra), oppure dell’art. 126 (sicurezza nazionale per le regioni), con un impennata della crisi che prospetta situazioni liminari.
Sul piano tedesco la situazione non pare migliore. Apparentemente inattaccabile la Germania rischia di pagare più di tutti una destrutturazione dell’Eurozona e della prospettiva europea. Né si può dire che la performance europea della Germania sia adeguata alla bisogna. La Signora Merkel è da anni apparentemente indecisa a tutto. Il Cancelliere Schroeder nel 2005 riuscì ad impattare la contesa, ma la governance del sistema tedesco è divenuta- nonostante- la grosse Koalition sempre meno incisiva per la necessità di tenere conto di più piani di governo e per il costo che le decisioni da assumere rivelano possedere.

2 -Le cinque crisi- I temi sono, evidentemente, numerosi e bisogna essere selettivi. Per comprendere l'attuale situazione storico- spirituale ( mondiale, europea ed italiana) e le sue implicazioni costituzionali bisogna necessariamente fare riferimento ai dati di fatto che riportano a cinque situazioni di crisi in un mondo in cui la velocità del cambiamento si è velocizzata:
1. La crisi di riqualificazione dei rapporti geopolitici globali che ha visto il passaggio dall’asse dell’Atlantico a quello del Pacifico;
2. La conseguente crisi dello Stato sociale europeo;
3. La crisi della democrazia rappresentativa;
4. La crisi della costruzione europea;
5. La crisi italiana, ovvero le difficoltà di una democrazia a basso rendimento che rischia la crisi societaria.
In questo contesto si pone il viaggio oramai differenziato degli ordinamenti tedesco ed italiano, ma anche la loro stretta connessione nel futuro. Se le risposte tedesche ed italiane non saranno conseguenti, esiste il rischio della nullificazione dell’Europa, la balcanizzazione dell'area meridionale europea(con la centrifugazione dell'Italia) e quindi anche la sconfitta della Germania, che si illude di poter colloquiare con la Russia o con la Cina autonomamente .
Oggi ciò che serve è più Europa e più responsabilità da parte di tutti i partners. La costruzione ibrida era sbagliata in origine;è necessario compiere un salto di qualità simile a quello che vide passare gli Stati Uniti dalla Confederazione alla Federazione. Ma la Germania sembra troppo presa dalla sua recuperata sovranità e dallo sforzo della riunificazione avvenuto con successo, ma anche con sacrificio. Ed è fra queste obiettive remore e la necessità di un rilancio della costruzione europea che si giocano le carte del nostro futuro.

3- La riqualificazione dei rapporti geopolitici di lungo periodo. In un simile quadro bisogna fare riferimento alla storia per vedere nell'onda lunga della stessa le ragioni della dinamica complessiva e di quelle particolari. In questa specifica dimensione a me sembra che siamo scomodi testimoni e solo in parte protagonisti della fine di un ciclo plurisecolare che ha portato prima alla formazione processuale dello Stato moderno, poi alla sua trasformazione nell'ambito dei processi di internazionalizzazione e globalizzazione.

a- I dati di fatto di tipo macroeconomico sono conosciuti ormai da tempo e sono quelli evidenziati da Pomeranz e da Maddison e pubblicizzati da Goldman & Sachs .Da un lato si pone il tasso di incremento del PIL degli ordinamenti industriali avanzati europei e nord-americani, dall'altro quello delle potenze economiche emergenti(o emerse).
A questo si aggiunge che tra gli ordinamenti “emergenti” ve ne sono perlomeno due che, ancora due secoli fa , possedevano un ruolo molto rilevante nell'economia mondiale(India e Cina) e che oggi lo stanno riassumendo ,accompagnati da altri soggetti meno radicati nella storia economica mondiale.
b-Per comprendere in maniera sintetica ciò che sta accadendo bisogna quindi considerare come il processo di trasformazione economico e culturale che produsse lo Stato moderno abbia comportato
b.1- alle soglie del XVI secolo lo spostamento progressivo dell'asse politico-culturale dal Mediterraneo all'Atlantico , prima meridionale(Spagna,Portogallo) e poi settentrionale(Francia,Gran Bretagna).
b.2- Con la rivoluzione industriale (il primo take off britannico è della metà del secolo XVIII) venne certificata l'esistenza dell'Asse euro-americano, che caratterizzò la vita economico sociale e istituzionale del globo almeno fino agli anni '70 del secolo scorso.
b.3–Fino al primo conflitto mondiale il centro dell'Asse in questione era ancora sistemato in Europa; dopo la Grande Guerra si spostò negli USA. Il secolo breve è stato caratterizzato prima dall'anarchia internazionale, che favorì all’inizio l'avvento del leninismo in Russia, poi degli ordinamenti autoritari e totalitari in Italia e in Germania e, dopo la seconda guerra mondiale, dal bipolarismo e dai fenomeni di decolonizzazione.
b.4-Negli anni Settanta inizia, invece, la fase di riqualificazione dei rapporti di potenza. La decolonizzazione si è attuata ,il dollaro entra in crisi ,il petrolio diviene una risorsa scarsa, Urss e Cina seguono alla fine del decennio strade riformistiche differenziate.
b.5-Dagli anni '90 con la caduta del socialismo reale ed il formarsi di un monopolarismo senza egemonia, l'asse si è spostato dall'Atlantico al Pacifico(prima con la gravitazione nippo americana,ora sino – americana).

4-La crisi dello Stato sociale europeo-Lo stesso ombrello differenziato dello Stato sociale è, in questo specifico quadro, senza alcun dubbio frutto della storia di come gli stati nazionali hanno reagito alla rivoluzione industriale del XIX secolo ed alla rottura delle precedenti società agricole( con coperture difensive introdotte dall’alto; o conquistate dal basso). Questa storia ha avuto percorsi differenti ed ha incontrato strutture sociali e istituzionali molto diversificate, che esplicano la loro influenza sull'oggi.
Il modello di copertura scandinava è, come è noto, molto più largo, efficiente e dinamico ; più ridotto ma funzionale quello tedesco della economia sociale di mercato; variabile in estensione quello portabile anglo-irlandese, in cui il pubblico sostituisce il privato nelle situazioni di emergenza; più sgangherato quello mediterraneo.
Inoltre i principali triangoli di copertura sono la previdenza ,l’assistenza sociale, la sanità, l’istruzione e le politiche abitative, ma l’intensità e la qualità degli interventi varia di paese in paese. In Europa le politiche sociali sono oramai condizionate dal fatto che dopo Maastricht molti ordinamenti hanno perso la possibilità di gestire il proprio bilancio, vincolati come sono dalla necessità teorica di mantenere il rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%,un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% , un tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi,un tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.
La dizione “modello sociale europeo” nasconde ,dunque, una pluralità di ombrelli differenziati di protezione sociale . Ai quattro tipi ( socialdemocratico dei paesi scandinavi; liberale anglosassone, conservatore corporativo degli ordinamenti continentali, mediterraneo) si sono per di più aggiunti quelli dell’Europa orientale, che hanno scontato nell’ultimo ventennio la trasformazione intensa del passaggio dal socialismo reale all’economia capitalistica.
Disegnare un modello unitario sulla carta dei diritti e sui trattati (versione di Lisbona) risulta,dunque, difficile, perché lo Stato sociale (o assistenziale) sconta, da un lato, le derive della storia, ma anche la situazione istituzionale ed economica dei singoli ordinamenti; dall’altro la dinamica dei sistemi industriali avanzati che debbono reagire all’emergere (o al riemergere) impetuoso di nuovi soggetti internazionali in campo economico.
Gli ombrelli che le società industriali tradizionali hanno prodotto risultano, dunque, inadeguati non soltanto alle nuove situazioni delle società post-industriali, ma soprattutto vengono sfidati dalla dinamicità dei nuovi soggetti che emergono sulla scena produttiva mondiale. Potremmo dire così: le politiche sociali che caratterizzano gli stati dell’Unione non esistono ancora a livello europeo- al di là delle affermazioni sulla coesione come competenza concorrente(art. 4,2,c coesione economico , sociale e territoriale; all’art. 14 e all’art. 174).
La situazione è angosciosa perché non ci si trova soltanto davanti alla questione dell’invecchiamento della popolazione e alla necessità dell’adeguamento ad una società di servizi, ma anche davanti ad una “transizione da un regime di accumulazione su scala mondiale ad un altro” .
Come hanno ben messo in evidenza sia il rapporto della Banca mondiale sia quello di sviluppo umano del 2010 i differenti modelli di stato sociale in Europa sono attualmente sfidati dai fenomeni di globalizzazione e internazionalizzazione, che hanno visto l’incremento delle differenze tra paesi perdenti e vincenti, l’aumento delle diseguaglianze per quanto riguarda l’indice di sviluppo umano, la velocità dei contagi e l’accelerazione di tutti i fenomeni.
In una situazione in cui necessitano risposte globali che mettano fine agli squilibri commerciali che sono alla base della crisi finanziaria internazionale, è indispensabile: pensare di risanare le finanze pubbliche (mettendo in atto sistemi di controllo e valutazione adeguati),garantire l’efficienza dei servizi pubblici,rafforzare le politiche per l’ambiente,assicurare la giustizia sociale, pensare ai giovani, alle donne ed ai vecchi, prefigurando una maggiore giustizia sociale.
In questa prospettiva, dove dal punto di vista valoriale è necessario dare maggiore dignità al lavoro, la realtà globale è rappresentata dall’inesistenza di copertura sociale per più di tre quarti dei lavoratori del globo.
L'interrogativo non è, secondo me, se sia possibile raggiungere nuovi compromessi con i quali ridefinire gli obbiettivi dello stato assistenziale del XXI secolo, quanto quello di verificare- da un lato- se si possa armonizzare la situazione dello stesso all'interno dell'Unione, salvando il nucleo fondamentale della copertura che caratterizza nel bene o nel male gli ordinamenti continentali rispetto a quelli dei soggetti rampanti della globalizzazione; dall'altro, se i fenomeni di globalizzazione ed internazionalizzazione ci permetteranno di farlo, resistendo fino a che le contraddizioni delle richieste dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo non riducano le differenze del costo del lavoro.

5-La crisi della democrazia rappresentativa-Se questo è oramai il contesto stabilizzato, è necessario affrontare ora il secondo corno del problema, ovvero il tema della forma di regime democratica, cercando di privilegiare i caratteri comuni alle democrazie pluraliste ( di antica e più recente formazione). All’interno delle stesse esistono , a mio avviso , perlomeno sei tendenze che debbono essere poste in primo piano e che evidenzio qui di seguito.
In primo luogo viene confermata la perdita anche formale di centralità delle tradizionali istituzioni rappresentative collegiali con la conseguente affermazione della personalizzazione della contesa nelle società di massa per la conquista di posizioni monocratiche .
In secondo luogo si evidenzia una crisi di rappresentatività del personale politico parlamentare a causa della complessità delle società civili e politiche, della trasformazione
delle tradizionali fratture e della apparizione di nuove domande .
In terzo luogo , se i parlamenti sono stati superati –sulla base del processo di democratizzazione- dai partiti, anche questi hanno oramai da tempo perso capacità
di articolare e ridurre la domanda politica in favore di individui e gruppi. Si verifica così una riqualificazione delle funzioni della rappresentanza parlamentare. Negli ordinamenti caratterizzati dalla applicazione della teoria funzionale della rappresentanza (con la formazione di esecutivi stabili sulla base di partiti e/o di leader) spesso vi è , addirittura, la certificazione che il personale politico parlamentare della maggioranza si è trasformato
in lobbista nei confronti del proprio esecutivo. D’altro canto la teoria del libero mandato su cui poggia l’ideologia della rappresentanza politica come rapporto fiduciario tra
rappresentante e rappresentato è sostanzialmente vanificata da normative elettorali che attribuiscono anche formalmente la responsabilità di nomina dei parlamentari
agli organi che presentano le liste (in Italia ai segretari nazionali dei partiti o al Capo della coalizione per la Camera dei deputati).
In quarta istanza gli esecutivi assumono un ruolo privilegiato di rappresentanza delle domande provenienti dalla società civile e di collazione degli interessi. Sono
gli esecutivi, dunque, che rappresentano direttamente il corpo elettorale e divengono il punto di riferimento degli interessi che devono essere rappresentati, esercitando
la funzione principale nell’ allocazione autoritativa delle risorse sul piano nazionale.
In quinto luogo altri soggetti non legittimati dal consenso elettorale esprimono una funzione di rappresentanza e di contrappeso. Ad organi tecnici, dotati di rappresentanza istituzionale, viene attribuita una funzione di espressione di esigenze peculiari della società civile e
di controllo, precedentemente attribuite a organi costituzionali prodotti della volontà popolare.
In sesto luogo il relativo svuotamento di competenze delle istituzioni statuali centrali causato da processi di devoluzione verso l’ alto e verso il basso moltiplica i
fenomeni prima citati , rafforzando il ruolo degli esecutivi , che hanno la possibilità di partecipare a decisioni da cui sono sostanzialmente esclusi gli organi legislativi,
nonostante le recenti previsioni di compartecipazione .
Da questo quadro derivano evidenti pericoli per gli ordinamenti che si definiscono democratici. Essi si concentrano sostanzialmente in quattro punti principali:
a – nella diminuzione dell’incidenza del piano nazionale senza che vi sia una individuazione sicura di una alternativa dove i singoli cittadini come demos possano esprimere in maniera costante ed attiva la propria volontà elettiva e deliberativa;
b – nel crescente peso crematistico in politica, per cui l’attività nel settore dell’allocazione autoritativa delle risorse corrisponde sempre più ai rapporti di potere di fatto ,con
la conseguente delegittimazione dei fondamenti ideali del sistema ;
c – nella mancanza di partecipazione, con la riduzione delle formazioni partitiche a mere macchine di potere ed elettorali e nella attribuzione di strumenti della
domanda e del controllo popolare ad organi tecnici privi di legittimazione diretta;
d – nell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa di tipo individualistico , con la conseguenza che il processo di decisione del demos viene fortemente influenzato dagli stessi e distorto da un’eventuale concentrazione in mano di operatori singoli o collettivi.

6-La crisi della costruzione europea- La costruzione europea parve rafforzata dalla crisi del socialismo reale, ma progredì solo per forza di inerzia. Anzi l’unificazione tedesca e l’allargamento, connesse con i fenomeni di globalizzazione rendono ormai da tempo sempre più palesi i difetti di una costruzione che non solo non è né carne né pesce, ma non si attrezza in maniera sufficiente per resistere agli attacchi della concorrenza geopolitica. Tutte le osservazioni che fa Guarino potranno anche essere considerate stataliste, ma sono elementi di riflessione dei pericoli cui si va incontro in una società globalizzata e basata sul liberismo ed il capitalismo finanziario selvaggio.

7-La crisi italiana ovvero di una democrazia a basso rendimento . In questo quadro si conferma la debolezza del sistema Italia, per ragioni storiche e contingenti. L’opera del Costituente si sviluppò — come è noto — nell’arco di circa diciotto mesi dal luglio 1946 al dicembre 1947; l’applicazione successiva della Costituzione è stata, invece, caratterizzata da varie stagioni. In questo quadro costituiscono problemi differenti, da un lato, lo studio del processo di approvazione della costituzione e del compromesso costituzionale, dall’altro l’analisi della sua attuazione. La Costituzione positiva come decisione fondamentale, per utilizzare una nota categoria schmittiana, venne approvata proprio nel momento in cui la situazione internazionale ed i dati elettorali dovevano confermare la spaccatura del mondo in due sfere di influenza. Una Costituzione programma come quella repubblicana non potè che rimanere condizionata nella sua applicazione dal congelamento dei rapporti internazionali. Nel periodo 1948-1955 essa rimase in sostanza inapplicata e il tentativo di stabilizzazione delle maggioranze centriste attraverso la cosiddetta legge truffa costituı` un’operazione che poteva portare anche alla stessa revisione incisiva del patto del 1948.
Con il 1955 si scelse la strada dell’integrazione dei partiti esistenti nell’ambito del cosiddetto arco costituzionale attraverso il baccello della Costituzione, che doveva essere progressivamente applicata. La ‘‘rivoluzione promessa’’ di Piero Calamandrei diveniva la speranza di una integrazione progressiva di tutte le forze presenti nel sistema. In questo senso deve essere letta la scelta operata dallo stesso Lelio Basso di giocare sul mantenimento e l’applicazione della Costituzione le carte dello sviluppo istituzionale.
La crisi di transizione dall’alleanza centrista a quella di centrosinistra non fu scevra da pericoli (basti pensare al tentativo del Governo Tambroni di sdoganare le destre monarchica e neofascista in funzione antisocialista). Il Governo di transizione Fanfani nel 1960 e poi la prima alleanza organica di centro-sinistra nel 1963 (Governo Moro) erano stati preceduti sin dal 1956 da una serie di applicazioni progressive degli istituti previsti dalla Costituzione repubblicana, primo fra tutti la Corte costituzionale. La Costituzione sembrava l’usbergo di un sistema in via di integrazione, con una economia che ebbe fino agli inizi degli anni Sessanta dei risultati strabilianti.E ` dalla meta` degli anni Sessanta che il sistema politico costituzionale italiano ha incominciato ad avvitarsi su se´ stesso e che, anche per questo, non si èriuscito, a differenza di cio` che è accaduto in Germania, a far divenire la Costituzione uno strumento di consolidamento del cosiddetto patriottismo costituzionale. Gli esempi tedesco, francese e spagnolo evidenziano — infatti — non soltanto la capacita` delle rispettivi ceti politici e delle correlate classi dirigenti a prendere decisioni funzionali all’inveramento dei valori, ma anche il correlativo rafforzamento del testo costituzionale vigente, mentre obbiettivamente la Costituzione repubblicana si è indebolita progressivamente, nonostante la retorica delle opzioni volontaristiche.
Dal punto di vista storico-costituzionale, infatti, la crisi della Costituzione — a mio avviso — non data dal 1978 come ci si affanna a dire in occasione degli anniversari dei cosiddetti anni di piombo (rapimento Moro in testa), ma risale perlomeno al 1968, con la sconfitta dell’ipotesi riformista del centrosinistra e con l’inizio della transizione infinita, divisibile in un ciclo lungo, all’intero dei soggetti originari (fino al 1993), ed in uno corto, che tuttora stiamo vivendo.
La mutazione incompiuta si è trascinata, infatti, prima per un quarto di secolo sino al 1993, e poi si è avvitata nel successivo quindicennio per l’incapacita` del sistema di completare un riallineamento del sistema partitico ed un coerente rinnovamento istituzionale.

Le elezioni del 2008 parevano in questo senso essere state un evento critico, nel senso della posizione sostenuta da Valdemar O.Key , ovvero indice di un nuovo blocco sociale e politico capace di porsi alla base del sistema. Gli avvenimenti degli ultimi anni,con la decostruzione del bipolarismo blindato , la permanenza di un bipolarismo coalizionale labile e conflittuale fino ad arrivare al cosiddetto commissariamento del politico-partitico da parte del politico-tecnico smentiscono le ipotesi di normalizzazione. La fine della transizione non si èavverata e cosı` la stabilizzazione, che — se avverra` senza opportuni interventi istituzionali — rischia di travolgere l’impianto originario della Costituzione sulla base di una nuova forma con un nuovo contenuto sostanziale. Si profilano, infatti, fenomeni di snervatura costituzionale sempre più pronunciati, che fanno temere il raggiungimento del punto di rottura con l’esplicitazione dell’alternativa tra forma di Stato democratica caratterizzata da partiti strutturati e regolati e forma di Stato di democrazia carismatica, dove il leader interpreta in modo continuo i desiderata
del demos. Ma tutto questo — èbene dirlo — confligge con la forma di Stato e di regime disegnata dal Costituente e dallo stesso sviluppo delle democrazie pluralistiche avanzate. D’altro canto i timori per la stabilità sistemica non si concentrano solo sul piano istituzionale, ma sulla convergenza della crisi dei vari sottosistemi con il pericolo della crisi societaria. Il dibattito degli ultimi mesi sulle innovazioni conferma d’altro canto l’incapacità dei soggetti di astrarsi dagli interessi partigiani con l’impossibilità non soltanto di rispettare la road map delle riforme precedentemente dichiarata, ma soprattutto con la sensazione di una inutile ripetitività dello stesso.

8-Germania e Italia: due percorsi analoghi e divergenti –In questo complesso panorama, c’è da chiedersi il perché delle analogie e le differenze tra Germania ed Italia nel lungo e nel breve periodo. In proposito risulta evidente come in Germania il processo di formazione dello Stato nazionale si sia attuato sulla base della sostanziale continuità del principio di legittimità tradizionale e che , solo con la sconfitta militare del 1918, l’Obrigkeitstaat nella versione cesaristica abbia lasciato spazio al Volksstaat, con la promulgazione, sulla base del potere costituente, del primo esempio di Costituzione democratico-sociale, in cui l’autonomia della periferia era stata sostanzialmente ridotta rispetto al centro.
In Italia il processo di formazione dello Stato nazione si realizzò, invece, sulla base della rottura sostanziale della legittimità tradizionale e con il rifiuto delle istanze federalistiche( che nella versione cattaneana si volgevano- come osservato in precedenza- in particolare all’esempio Svizzero) ed autonomistiche, considerate pericolose per la sopravvivenza dell’ordinamento, nell’ambito di uno sviluppo faticoso dello Stato liberale di diritto monoclasse allo Stato di diritto liberale e democratico.
In entrambi gli ordinamenti le conseguenze del primo conflitto mondiale, la crisi di partecipazione e la presenza di formazioni antisistema favorirono l’avvento di regimi autoritari a tendenza totalitaria (il fascismo) o totalitari tout court (il nazismo).
Dopo la sconfitta dell’Asse, il secondo dopoguerra ha introdotto la Germania nell’ambito dello Stato costituzionale democratico sulla base di un processo di ricostruzione istituzionale di tipo esogeno pluralistico, più accentuato di quello italiano, ma anche fortemente condizionato dalla specifica storia nazionale e dalla condizione di minorità di ordinamento diviso all’interno della contrapposizione bipolare e non sovrano sino al 1990.
La Germania è,infatti, rinata attraverso i Länder ed il suo federalismo è stato conformato dalla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht secondo uno schema a ghiacciaio (forte strutturazione e coerenza nella parte di vertice ed intermedia;possibilità di movimento in basso). In Italia l’attuazione del regionalismo ordinario è stata prima bloccato per circa venti anni( se si esclude le regioni a statuto speciale), poi ha avuto esiti correlati con le differenti culture civiche regionali, mentre la Corte costituzionale ha tentato di fornire coerenza al disegno riformatore del Titolo V nella fase post-2001.
Nel tempo il dibattito sull’integrazione europea prescelta con decisione dalle élites postbelliche , cui fornì una spinta determinante la “situazione di potenza” e la pressione statunitense “als Schutzmacht Westeuropas”, ebbe tra i suoi motori principali proprio la Germania e l’Italia e risultò essere stato molto influenzato da quello storico tedesco (basti pensare alla ripartizione di competenze tra centro e periferia ed allo stesso concetto di sussidiarietà), con una evidente tensione tra attribuzione delle competenze su base internazionalistica e garanzie democratiche di tipo statuale.
Per quanto riguarda le analogie, in sostanza i due ordinamenti sono riusciti(seppure con differenze e difficoltà) ad unire nell’ultimo cinquantennio sviluppo economico e sociale e democrazia politica, superando le difficoltà della ricostruzione economica, della contrapposizione internazionale, del terrorismo interno. Per quanto attiene alle divergenze, sinteticamente si può dire che, mentre la Germania pare divenuta un sistema democratico normale(anche se affetto da tradizionale paura dell’instabilita`), quello italiano conferma, invece, di essere una democrazia a basso rendimento, incapace di superare le proprie tradizionali fratture. L’ordinamento costituzionale tedesco — a differenza di quello italiano — si è mantenuto, soprattutto, nella sostanziale continuità con le scelte operate dalla Legge fondamentale ed ha confermato la fisionomia di un sistema istituzionale strutturato e sorretto da soggetti politici essenzialmente stabili, che sono riusciti a metabolizzare la stessa riunificazione, sotto molti profili pericolosa e costosa, e — seppur tra contraddizioni e pericoli — stanno conformando lo stesso ambito europeo.
Se si volesse evidenziare il momento della divaricazione delle due esperienze istituzionali prese in esame, suggerirei ancora una crisi forte dei soggetti politicamente rilevanti, con la messa in discussione di una serie di norme, di valori e di regole del gioco e con la progressiva modifica di alcune delle strutture di autorità, ma senza che si addivenisse ad un nuovo equilibrio. Mi riferisco ovviamente al caso italiano del 1992-93 e al processo di riallineamento mancato che si è trascinato per circa quattro lustri. Cio` ha comportato la tensione tra il progetto originario dello stesso testo costituzionale e la nuova realta`, con la contrapposizione tra difensori della Carta del 1948 e soggetti che, in modo implicito, o esplicito ritengono opportuno mutarla nella parte organizzativa, se non addirittura nella parte valoriale.
In sostanza i due ordinamenti sono riusciti(seppure con differenze e difficoltà) ad unire nell’ultimo cinquantennio sviluppo economico e sociale e democrazia politica, superando le difficoltà della ricostruzione economica, della contrapposizione internazionale, del terrorismo interno, ma negli ultimi anni questo percorso parallello sembra essersi bloccato.Il sistema politico- costituzionale italiano conferma, invece, di essere una democrazia a basso rendimento, incapace di superare le proprie tradizionali fratture. L’ordinamento costituzionale tedesco — a differenza di quello italiano — si è mantenuto, soprattutto, nella sostanziale continuità con le scelte operate dalla Legge fondamentale e conferma la fisionomia di un sistema istituzionale strutturato e sorretto da soggetti politici essenzialmente stabili, che sono riusciti a metabolizzare la stessa riunificazione, sotto molti profili pericolosa e costosa, e — seppur tra contraddizioni e pericoli — stanno conformando lo stesso ambito europeo. Se si volesse evidenziare il momento originario della divaricazione delle due esperienze istituzionali prese in esame, suggerirei ancora una volta di concentrare l’attenzione sullo strategico decennio 1969- 1979. Nel 1969, mentre l’ordinamento italiano iniziava la propria transizione lunga verso la dissoluzione delle forze politiche che avevano generato la Costituzione, in Germania la coalizione social-liberale condotta da Willy Brandt certifico` la possibilita` di un’alternanza/ alternativa ai governi CDU/CSU. Alla fine di quel decennio, nonostante entrambi gli ordinamenti fossero stati scossi dalla ventata terroristica, in Germania Dolf Sternberger poteva — appunto — rilevare la presenza di un diffuso Verfassungspatriotismus, mentre in Italia falliva il tentativo di integrazione del maggior partito di opposizione,su cui si era fondata — seppure in maniera contraddittoria— la strategia di applicazione della Costituzione dal 1953 in poi.Una simile divergenza si èaccentuata nel tempo.
La Germania vede ancora nella Legge fondamentale l’usbergo che le ha permesso di ritornare unita, nonostante le difficoltà che una simile impresa ha comportato. La proposta, già ventilata con forza all’epoca della riunificazione, del leader SDP Franz Müntefering di una neue, gesamtdeutsche Verfassung èstata considerata solo come un ballon d’essai elettorale e criticata da tutte le forze politiche. Essa evidenzia invero il segnale di una insoddisfazione sullo stato del federalismo( su cui sono intervenute le innovazioni costituzionali del 2006-2009) e sulla crescente divaricazione regionale, ma la reazione alla stessa certifica che attorno alla Legge fondamentale si ècostituito un blocco che considera la stessa come un presidio necessario della democraticità del sistema. D’altro canto la posizione del Tribunale costituzionale federale sul processo di integrazione europea richiama nella continuita` la discussione tedesca sul federalismo ed evidenzia come sia la Legge fondamentale a garantire lo stesso processo di integrazione europeo e non viceversa.
Trascurando le discussioni sull’incisività delle innovazioni — la tendenza èquella a confermare l’assetto originario, adattandolo al mutare dei tempi. La situazione italiana in materia e`, invece, significativamente differente e non solo per la posizione della Corte costituzionale, che sin dagli anni Settanta ha teso ad utilizzare sempre più l’art. 11 della Cost. come valvola per favorire i processi di integrazione sovranazionale di fronte ad un ceto politico incerto nei fatti(ma non a parole). La capacità del testo costituzionale italiano di unificare l’ordinamento si èfortemente indebolita dopo il 1992/93, spiegandola necessita` di alcuni autori (penso, ancora una volta, ad Elia e Onida sulla base di suggestioni di Dossetti) di radicare i valori costituzionali all’esterno dell’ordinamento italiano e di rafforzarli attraverso l’azione degli organi di controllo esterno, in funzione di garanzia e di supplenza rispetto al circuito di decisione democratica. Ne deriva una dicotomia significativa. In Italia, da un lato, la discussione sull’identità nazionale e sulla stessa unità dell’ordinamento, dall’altro differenti concezioni della democrazia (rappresentativa e carismatico-plebiscitaria in uno Stato di partiti sregolato e oramai senza partiti) e dello stesso Stato sociale rivelano problemi che rischiano, invece, di farci assomigliare di piu` ad esempi balcanici, evocando gli incubi di Weimar e ponendo sempre piu` sotto tensione lo stesso testo costituzionale.
Al di la` di ogni retorica sulla sana e robusta costituzione della Carta del 1948, esiste il concreto rischio del suo snervamento ed il pericolo che si giunga ad un punto di rottura della stessa. Un simile giudizio non significa abbandonare il testo, e sopratutto i valori in esso contenuti, che ci hanno introdotto all’interno dello Stato di diritto costituzionale, sibbene evidenziare le tensioni molteplici cui lo stesso èsottoposto, invitando chi di dovere a prenderlo sul serio, anche adeguandolo opportunamente, prima che sia troppo tardi. Una simile esortazione tiene conto della lezione della storia, che oramai sta relativizzando— in ambito europeo — gli assetti nazionali, senza ovviamente annullarli (il caso belga costituisce un esempio liminare, anche se significativo della tendenza in atto).Si tratta soprattutto di essere consapevoli dell’impossibilita` di cullarsi nella visione confortante che il futuro degli ordinamenti si giochi senza alternative e in maniera lineare, nell’ambito di un processo epocale di deperimento dello Stato nazionale nell’area dove lo stesso è nato quattro secoli fa. Lasciarsi sviare da questa prospettiva significa non comprendere che il processo di integrazione europeo non è piu` assicurato dalla situazione geopolitica precedente il 1989 e che i tradizionali meccanismi automatici di salvaguardia della democrazia e dello Stato sociale non esistono piu` in un mondo globalizzato. Ogni ordinamento deve, infatti, collaborare e guadagnarsi ruolo e livello di partecipazione. In questa specifica prospettiva il pericolo di Weimar, che si ripresenta a livello non più nazionale ma continentale, richiede proprio alla Germania, che su quella bruciante esperienza ha costruito il suo presente, uno sforzo di comprensione prospettico sulle proprie responsabilità del momento a livello continentale.


      Questa voce è stata pubblicata in: Parlalex, SCRITTI RECENTI il 08/08/2020 Contrassegna il Permalink.