Audizione presso la Commissione affari costituzionali del Senato- Lodo Alfano II-17 giugno 2010





 
1. L’articolato in esame si inserisce nell’ambito della storia infinita che caratterizza i rapporti magistratura – politica perlomeno dal 1993 in poi. In particolare siamo al quarto tempo della vicenda iniziata con la legge 140/2003 (Lodo Schifani), proseguita la legge 124/2008 (Lodo Alfano) e ,infine, con la legge n. 51/ 2010(Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza).
2. Questa intensa attività normativa è stata scandita dalle sentenze della Corte costituzionale che:
a. nel 2004(v. sent. n.24) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi1,2,3 della legge 140 del 2008 e
b. nel 2008 ha dichiarato l’illegittimità( v. sent. n.262) della legge 124/2008 per contrasto con gli art. 3 e 138 della Cost..
3. Alle spalle dei citati atti normativi e dell’attività giurisprudenziale della Corte si pone il nodo della crisi di regime, che ha definito la fine della prima fase della storia della Costituzione repubblicana e che non è stata ancora superata con un completo riallineamento del sistema partitico. Direi di più. Il DDL costituzionale in esame vorrebbe rappresentare il tentativo finale di ritornare ad una situazione di “normalità”, ma evidenzia tutta la debolezza di interventi rapsodici e privi di visione architettonica. Ricordo,in proposito, che la crisi di regime del 1993 venne caratterizzata da tre elementi principali:
a. il referendum sul sistema elettorale del Senato ;
b. il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti;
c. la modifica dell’art.68 , con la sottrazione dell’ombrello (scudo) in favore del ceto politico dell’autorizzazione a procedere.
Il crollo del più pesante “Stato dei partiti” esistente in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale fu apparentemente risolta attraverso l’adozione di un meccanismo elettorale in senso stretto tendenzialmente maggioritario, l’eliminazione del finanziamento pubblico per la vita ordinaria dei partiti e l’indebolimento del privilegio dell’immunità di ceto per i parlamentari.
L’ intervento sull’art.68 modificò un elemento strutturale nell’edificio ideato dal Costituente, che lo aveva recepito sulla base della storia costituzionale italiana, mentre sul piano elettorale la introduzione di un meccanismo tendenzialmente maggioritario costituì il mutamento di una vera e propria norma di regime,che lo stesso Costituente aveva adottato senza discussione nel periodo fondativo dell’ordinamento e che- dopo il tentativo di introduzione di un premio di maggioranza nel 1953- era risultato indiscusso negli anni successivi. Il finanziamento pubblico,infine, aveva costituito nel 1974 un provvedimento adeguato alla trasformazione dello Stato dei partiti in via demobilitazione e la sua abolizione costituiva il simbolo della delegittimazione popolare degli stessi.
4. Il tentativo di operare il riallineamento del sistema partitico richiesto dal superamento della crisi di regime si è sviluppato in maniera contraddittoria:
a. con la reintroduzione di un meccanismo elettorale di tipo non maggioritario con premio di maggioranza, che nel 2005 ha sostanzialmente sostituito la elezione dei parlamentari con la nomina,
b. mentre per quanto attiene il finanziamento pubblico esso è stato surrettiziamente reintrodotto attraverso la spalmatura annuale del rimborso per le spese elettorali.
c. Il terzo pilastro del processo di normalizzazione, rappresentato da un succedaneo scudo dell’autorizzazione a procedere, non poteva assumere la stessa forma dell’originale, modificato dalla revisione dell’art.68 Cost., sia per ragioni di legittimazione, sia perché i parlamentari non risultano più soggetti sostanzialmente rilevanti. Esso ha assunto,quindi, la forma dello scudo per i supremi organi costituzionali,prima; poi-dopo le sentenze della Corte- quella della difesa del Presidente del Consiglio e del ministri del Governo. A questo fine sono scomparse alcune delle alte cariche dello Stato prima presenti ed è rimasto, accanto ai soggetti nominati all’art. 95 Cost., il Presidente della Repubblica, al fine di legittimare il provvedimento. Si tratta,in sostanza, della previsione di uno scudo difensivo ad personam( cui si sono aggiunti -per varie ragioni- anche i ministri), che –però- rischia, come certifica anche la mitologia greca, di non escludere in alcun modo la possibilità che persistano in esso talloni scoperti.
5. L’articolato in esame costituisce,infatti, un testo che apparentemente tenta di recepire la giurisprudenza della Corte (invero non sempre limpida nel suo svolgimento temporale) e prevede che, quando l’autorità giudiziaria eserciti l’azione penale nei confronti del Presidente della Repubblica,del Presidente del Consiglio dei ministri e dei singoli ministri, ne dia comunicazione alle camere,trasmettendo gli atti del procedimento e che entro tre mesi dalla comunicazione le Camere di appartenenza o il Parlamento in seduta comune possano disporre la sospensione del processo.
6. A mio avviso, risulta evidente che anche questo ulteriore tentativo di innovazione istituzionale risenta della mancanza di visione armonica dell’architettura dell’edificio costituzionale , finendo per porre più difficoltà di quanto non ne risolva. Metto in risalto solo alcuni problemi relativi al testo del DDL in esame.
a. In primo luogo,è opportuno sgomberare una questione pregiudiziale,ossia il problema della fonte utilizzata. Ritengo che la natura costituzionale del progetto risponda in modo doveroso ad una esplicita osservazione della sentenza 262. All’interrogativo se sia sufficiente la copertura della fonte costituzionale rispetto alla vulnerazione del principio di eguaglianza, rispondo in modo affermativo richiamando il testo originario dell’art.68 Cost.
b. I problemi nascono non tanto dalla fonte utilizzata, ma dalle specifiche soluzioni adottate dal DDL.
i. In primo luogo, esso non individua criteri espliciti per la identificazione della decisione di sospendere il processo;
ii. In secondo luogo, esso non copre con il proprio scudo il settore civile del procedimento;
iii. In terza istanza, sovrappone indebitamente la posizione del Capo dello Stato a quella del Presidente del Consiglio e dei Ministri. In questa specifica prospettiva non pare razionale rispetto alla architettura della Carta costituzionale che il Capo dello Stato, la cui elezione viene decisa da un collegio che non si identifica con il Parlamento in seduta comune, venga sottoposto ad un “giudizio” che lo assimila al Governo. Il suggerimento è quello di non coinvolgere il Presidente della Repubblica nel DDL e, se proprio i proponenti lo ritenessero “politicamente” necessario, di farlo elevando le maggioranze richieste.

7. Il problema , giunti a questo punto, non è più giuridico, ma essenzialmente politico. L’osservazione è confermata dallo spostamento progressivo dello scudo nei confronti delle cosiddette alte cariche dello Stato: molto ampio per quanto riguarda i vertici degli organi costituzionali nel 2004; minore nel 2008;essenziale nel 2010, con la persistenza dei soli PdR e PCdM, cui si sono aggiunti i ministri. E’ evidente che qui non si tratta del PdR, ma del PCdM (e adesso anche dei ministri) nella persistenza di un conflitto tra ceto politico e parte della classe dirigente(magistratura).
8. Al fine di normalizzare (peggiorandola) la situazione rispetto al pre-1993 si è,dunque, provveduto ad introdurre ,da un lato,con la legge n. 270/2005 un sistema elettorale in senso stretto su base speculare con premio di maggioranza,dall’altro un finanziamento surrettizio sotto l’aspetto di rimborso per l’attività dei partiti. Mancava e manca qualcosa che assomigli all’art. 68 originario. La soluzione adottata dal DDL rischia di essere parziale ed insufficiente rispetto alla originaria, perché orientata da interessi particolari e non da una visione generale.
9. Il testo costituzionale del 1948 costituisce il frutto di una visione architettonica del Costituente che aveva valutato, nell’ambito della storia costituzionale italiana, la dinamica dei rapporti tra organi e poteri. Prerogative ed immunità rispondevano ad esigenze di garanzia e di equilibrio, che si connettevano con la precedente esperienza costituzionale italiana. In questa specifica prospettiva ricordo come l’esigenza di un virtuoso equilibrio tra i poteri fosse stata richiesta in più occasioni da Gaetano Mosca, mentre negli ultimi anni di vita lo stesso Leopoldo Elia ha richiamato l’esigenza di recuperare l’equilibrio tra organi e poteri nella dinamica costituzionale. In definitiva l’art. 68 Cost. nella versione originale aveva, dunque, un senso ed era sicuramente meno vulnerante lo Stato di diritto di quanto non sia questo DDL cost.


      Questa voce è stata pubblicata in: Parlalex, SCRITTI RECENTI il 08/08/2020 Contrassegna il Permalink.