Gabriele Conti, Recensione a F. Cazzola, “Qualcosa di sinistra. Miti e realtà delle sinistre al Governo”, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 143.

Questo saggio di Franco Cazzola edito da Il Mulino, affronta in maniera piuttosto peculiare la questione identitaria di quel grande contenitore storico, politico e culturale che è la “sinistra”.

L’Autore procede inizialmente con una succinta analisi del concetto di “sinistra” nel suo divenire storico e nella sua classica contrapposizione al concetto di “destra”, sia a livello politico che a livello culturale, cercando di entrare poi nel cuore della sua ipotesi di studio che è quella di verificare se, storicamente, ai governi di sinistra corrisponda effettivamente un determinato agire in campo economico e nella gestione delle risorse che è del tutto opposto, secondo un comune sentire, a quello dei governi di destra.

Destra e sinistra sono fenomeni storicamente collocati nell’età contemporanea e trovano la loro origine in primo luogo in quella contrapposizione sociale ed ideologica che ha caratterizzato la Rivoluzione francese: se la destra rappresentava la parte reazionaria e conservatrice della società francese, la sinistra al contrario abbracciava il cosiddetto Terzo stato, la controparte rivoluzionaria. La sinistra nasce pertanto come “parte in conflitto con l’esistente” (pag. 26), non indica tassativamente un ceto politico o sociale ma emerge come “opposizione al sistema di potere esistente”. Ne è una prova il fatto che già nel 1870, con la Comune di Parigi, “sinistra” indica non più il Terzo stato ma una forza parlamentare capace di ottenere un largo consenso popolare ma, non ancora, le redini del potere. La “massificazione” dell’ideologia “socialista”, fino ad allora massima espressione politica della “sinistra”, fa sì che il referente sociopolitico di quest’ultima non sia più la sola classe operaia ma il popolo nel suo insieme.

A livello linguistico, i concetti di destra e di sinistra vengono a concretizzarsi proprio in ambito rivoluzionario, quasi per un “accidente storico”, per le modalità con cui si svolsero le prime sedute degli Stati Generali: “se i deputati dell’assemblea rivoluzionaria francese si fossero seduti in modo diverso da come si sedettero, la terminologia politica dell’Europa e della maggior parte del modo sarebbe stata notevolmente diversa” (pag. 21).

È possibile comunque identificare tre momenti storici fondamentali nell’evoluzione del concetto di “sinistra”: il primo momento corrisponde all’intero periodo rivoluzionario. Come visto, in questo periodo “sinistra” è il Terzo stato, indica genericamente una contrapposizione all’ordine sociale esistente ed ha come mezzi di espressione la politica e la violenza (“le politiche come grimaldello” – pag. 28).

Il secondo periodo corrisponde grosso modo con il XIX Secolo e vede la sinistra identificarsi con la borghesia emergente, alleata o meno che sia con i ceti proletari. Tale borghesia si pone come obiettivo principale quello dell’allargamento dei diritti politici (a proprio favore e di riflesso a beneficio della collettività) e si avvale di mezzi prevalentemente politici di carattere non violento (riformismo e politiche regolative).

Nel terzo e ultimo periodo, che va dalla fine del XIX Secolo alla prima metà del XX Secolo, invece, la sinistra è il ceto proletario o il “popolo” rappresentato politicamente dai partiti comunisti o socialisti i quali intendono riformare lo Stato nel senso di un allargamento dei diritti sociali e politici, mediante l’uso di mezzi gradualistici o, in alcuni contesti, rivoluzionari o autoritari.

Nel mondo odierno, la questione relativa al “What is left?” appare problematica sotto numerosi punti di vista. C’è chi ha visto nella “sinistra” un fenomeno capace di compiere la propria funzione storica: gli obiettivi della sinistra sono stati infatti pienamente raggiunti in quei Paesi dove si sono succeduti governi di carattere socialista-democratico. Si trattava, in particolare, dell’adozione di un sistema di welfare avanzato; del raggiungimento di buoni livelli di occupazione; della riduzione delle diseguaglianze socioeconomiche. Tale posizione, tuttavia, fa riferimento al solo piano programmatico di un certo tipo di sinistra, più precisamente – chiarisce l’Autore – della socialdemocrazia scandinava. Altri ancora, invece, vedono nella contrapposizione destra-sinistra un assunto dicotomico che non ha più valore nella società odierna, trattandosi entrambi di “contenitori estremamente adattabili” (pag. 30). È questa la posizione che privilegia il Professor Cazzola, laddove appunto afferma che “sinistra e destra non abbracciano più rispettivamente i connotati politici del conservatorismo e del progressismo: in molte parti d’Europa la destra appare dinamica e propulsiva, la sinistra si mostra arroccata e spaventata” (pag. 31). […]

Scarica il testo completo in formato PDF

Questa voce è stata pubblicata in: Nomos, Rassegne critiche, recensioni, schede e contrassegnata con Austria, Belgio, Comune di Parigi, contrapposizione destra-sinistra, Danimarca, democrazie contemporanee, Francia, Franco Cazzola, Gabrile Conti, Germania, governo, Grecia, Italia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, riformismo e politiche regolative, Rivoluzione francese, sinistra, Spagna, Svezia, Terzo stato, welfare avanzato, “What is left?”. Contrassegna il Permalink.