Guido Stazi, Domenico da Empoli e le scelte pubbliche come bussola delle democrazie liberali

Nei primi anni ottanta ero un laureando in Politica Economica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma (allora ce n’era solo una, La Sapienza) e frequentavo la Biblioteca, intitolata ad Antonio De Viti De Marco, dell’Istituto di Economia e Finanza della Facoltà. L’Istituto era diretto, con piglio asburgico dato che era nato a Trieste quando la città giuliana era ancora austriaca, da Cesare Cosciani, nume tutelare della Scienza delle Finanze in Italia. Il Prof. Cosciani era ormai prossimo alla pensione, ma era ancora circondato da un’aurea di timore reverenziale, a causa del suo leggendario rigore mitteleuropeo. Aveva avuto molti allievi, ormai importanti docenti della materia in molte università italiane, ma a turno tornavano durante le sessioni di esame alla Sapienza a comporre le commissioni quasi fossero ancora semplici assistenti. Il più giovane dei docenti messi in cattedra da Cosciani, Giuseppe Dallera, faceva un po’ da guida a noi giovani laureandi, raccontando anche gli arcana imperii dell’Istituto, tra storia e leggenda, compresa una gustosa anedottistica, alimentata anche dalla sua affilatissima e intelligente ironia. Fu lui che per primo mi parlò di Domenico da Empoli e della sua abilità a non incorrere nel rigore di Cosciani quando era suo giovane assistente. Cosciani esigeva che tutti gli assistenti fossero presenti in Istituto fin dalle 8 del mattino. E proprio alle 8 in punto il Professore triestino si poneva in cima alla scalinata che conduceva all’Istituto per rimproverare severamente i ritardatari. Il giovane da Empoli, raccontava Dallera, sempre trafelato e quindi potenzialmente ritardatario, non fu mai beccato da Cosciani perché quando rischiava di arrivare in ritardo non si radeva a casa ma arrivava poco prima delle 8 e si faceva la barba nel bagno dell’Istituto! […]

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