STATI UNITI: Giulia Aravantinou Leonidi, United States v. Windsor: in the name of same-sex marriage. Alcune brevi considerazioni a margine della storica sentenza della Corte Suprema

Il Defense of Marriage Act (DOMA) è divenuto legge nel 1996, tuttavia esso ha tardato a dispiegare i propri effetti sino a quando le unioni tra individui dello stesso sesso non sono divenute una realtà. Attualmente un numero significativo di Stati membri della federazione e un numero sempre crescente di nazioni estere riconoscono legalmente le unioni tra omosessuali, mentre la sezione 3 del DOMA negava a migliaia di coppie la validità delle proprie unioni, nonché il godimento dei privilegi accordati dalla legislazione federale alle unioni legalmente valide e riconosciute contratte tra eterosessuali. Nel febbraio del 2011 l’Amministrazione Obama ha annunciato che non avrebbe continuato a sostenere la costituzionalità della sezione 3 del DOMA laddove questa definisce l’unione tra un uomo e una donna l’unica riconosciuta a livello federale e dalla quale discende il godimento dei privilegi accordati dalla legislazione federale alle coppie legalmente unite in matrimonio. Si tratta della prima mossa della Presidenza nel nome della difesa dei diritti delle coppie omosessuali fortemente penalizzate dalla disposizione oggetto della sentenza in commento. La vicenda da cui trae origine la decisione della Corte Suprema vede come protagonista Edith Windsor. La Windsor, rimasta vedova in seguito al decesso di Thea Spyer, con la quale aveva contratto legalmente matrimonio in Canada, aveva richiesto di poter beneficiare dell’esenzione fiscale per i coniugi superstiti, così come previsto dalla legislazione federale per i coniugi eterosessuali. Tuttavia, il matrimonio, seppur riconosciuto dallo Stato di New York, non rientrava nella definizione di cui alla sez. 3 del DOMA in quanto i nubendi appartenevano allo stesso sesso. Edith Windsor aveva deciso perciò di impugnare la decisione dell’autorità federale di negarle il diritto all’esenzione fiscale. In seguito alla vittoria della Windsor tanto presso la Corte distrettuale di New York quanto presso la Corte d’Appello per il secondo circuito, la sez. 3 del DOMA era stata disapplicata dalle suddette corti in quanto costituzionalmente illegittima. Il 26 giugno 2013 la Corte Suprema, adita dal Sollicitor General per mezzo di un writ of certiorari, ha emesso la propria sentenza di cui l’opinione di maggioranza è stata redatta dal giudice Kennedy, accompagnata dalle tre opinioni dissenzienti del Chief Justice Roberts, del giudice Scalia e del giudice Alito. La portata della sentenza è senz’altro storica e destinata ad inviare un’indicazione di apertura al riconoscimento dei diritti civili delle coppie omosessuali negli Stati Uniti mentre al di là dell’Oceano altri ordinamenti accolgono provvedimenti normativi volti al riconoscimento delle unioni tra individui dello stesso sesso. La Corte dichiara pertanto la sezione 3 del DOMA illegittima in quanto se ne riscontra la violazione rispetto al disposto del V emendamento. Merita di essere segnalata la dissenting opinion redatta dal giudice Scalia, che accompagna l’opinione di maggioranza della Corte e che ripropone uno dei temi con cui il costituzionalismo statunitense e non solo è chiamato a confrontarsi. Scalia sottolinea come la questione sottoposta al giudizio della Corte avrebbe potuto meglio essere risolta in ambito politico senza scomodare i supremi giudici. Ad essere chiamata nuovamente in causa è la separazione dei poteri (un appunto viene fatto anche all’Amministrazione Obama), l’incapacità del governo federale ad assumere posizioni chiare sui temi più controversi e il ruolo che si richiede al potere giurisdizionale di svolgere per tutelare i diritti dei consociati. La decisione della Corte Suprema non ha certamente arrestato l’acceso dibattito che infiamma e divide l’America tra sostenitori dei diritti degli omosessuali e difensori dell’istituto del matrimonio quale esclusiva prerogativa delle coppie eterosessuali. […]

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