REGNO UNITO: Giulia Caravale, La “permacrisis” del Governo britannico

Permacrisis, secondo il dizionario Collins, è la parola del 2022. Crisi permanente, passaggio da un’emergenza all’altra, stato di precarietà ed incertezza: permacrisis è certo uno dei termini che meglio può descrivere il sistema di governo del Regno Unito di questi ultimi mesi. Il Paese che con la Brexit avrebbe dovuto, secondo lo slogan più famoso, “take back control” ha cambiato tre Premier e quattro Cancellieri dello Scacchiere in poco tempo e, dal punto di vista economico, sembra stentare più delle altre nazioni europee. Le due crisi di governo vissute dal Regno Unito, la prima a luglio con le dimissioni di Boris Johnson, la seconda a ottobre, con le dimissioni di Liz Truss, sono state tra loro molto diverse, ma entrambe possono essere considerate sintomatiche di un sistema politico, e partitico, in evidente difficoltà. Boris Johnson, divenuto leader conservatore nel luglio 2019, aveva avuto il merito, nel dicembre 2019, di far ottenere ai Tories una delle più eclatanti vittorie elettorali degli ultimi trent’anni e, subito dopo, di fare uscire il Paese dal pantano causato dal referendum Brexit. Il Premier, tuttavia, non è riuscito a capitalizzare i suoi successi, non è stato all’altezza del compito, è apparso privo di una chiara visione politica anche in relazione ai rapporti con l’Unione o al futuro del Nord Irlanda e, soprattutto, ha mostrato scarsa sensibilità per il rispetto delle regole e poca attenzione alla questione morale nel suo partito. Numerosi, infatti, sono stati gli scandali che hanno caratterizzato il suo mandato e che, alla fine, hanno portato alle sue dimissioni. Boris Johnson ha lasciato un partito conservatore diviso in molte correnti e in affanno in tutti i sondaggi politici, a fronte del principale partito di opposizione che invece appare essere risorto dalle proprie ceneri.

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