POLONIA, Jan Sawicki, Portata a compimento la riforma governativa della Corte suprema e dell’ordinamento giudiziario. La separazione del terzo potere appare ormai memoria del passato

L’ultimo quadrimestre del 2017 si chiude con l’approvazione definitiva e la promulgazione delle due leggi di riforma della Corte suprema e del Consiglio nazionale della magistratura, un evento che aveva dominato la scena nel periodo precedente e che però si era arenato in seguito ai rinvii apposti dal Presidente della Repubblica Andrzej Duda (rinvii che non avevano alcuna possibilità di essere superati a maggioranza qualificata ad opera della Dieta, come la Costituzione prescrive). Le settimane trascorse dal 24 luglio ai primi giorni di dicembre sono state contraddistinte da un’imprevista conflittualità interna al partito di Governo, “Diritto e giustizia”, cui si era accennato nelle precedenti Cronache.

Il Governo presieduto nominalmente da Beata Szydło, il ministro della giustizia Zbigniew Ziobro, e soprattutto il leader di fatto del paese, Jarosław Kaczyński, avevano in forme più o meno esplicite avanzato il sospetto che Duda si fosse trasformato – per ragioni non chiarite – in un ostacolo al processo di trasformazione illiberale dello Stato avviato dal PiS a far data dalla fine del 2015.

D’altra parte, i due disegni di legge presidenziali, volti a riformare diversamente le due istituzioni di cui si è detto in esordio, presentavano differenze nel complesso piuttosto marginali con quelli rinviati a luglio, distinguendosene soprattutto, in buona sostanza, per due soli aspetti: in primo luogo privilegiavano il ruolo del capo dello Stato, anziché quello del ministro della giustizia, nell’espugnazione di quella ‘fortezza’ a presidio del giudiziario che è la Corte suprema; secondariamente, essi miravano a politicizzare in misura diversa – sebbene altrettanto impropria – la composizione del Consiglio nazionale della magistratura, prevedendo un’elezione dei suoi componenti, anche ‘togati’, che in qualche misura coinvolgesse anche almeno una parte dell’opposizione parlamentare, anziché lasciarne il sostanziale monopolio al partito di maggioranza. […]

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