Le Corti e il voto. “Gianni Caso – Sulla riforma elettorale”

Sul Sole 24 Ore del 2 marzo scorso Roberto D’Alimonte scrive che l’attuale progetto di legge, uscito dall’accordo Renzi-Berlusconi, rischia di non rispondere allo scopo di assicurare la governabilità sulla base di una consistente maggioranza parlamentare a favore del “vincitore” delle elezioni, poiché il “premio” è troppo basso; e, propone, quindi, l’innalzamento del “premio” fino a 340 seggi (come era col “porcellum”) sia per il primo turno che per il ballottaggio.

Il ragionamento si basa sul presupposto che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto (tesi sostenuta decisamente da Renzi). E, D’Alimonte giustifica la predetta esigenza con l’affermazione che “nella nostra situazione di fragilità politica ed istituzionale siano gli elettori nelle urne, e non i partiti dopo il voto, a decidere chi debba governare”.

Partirei da questa ultima affermazione per valutare la coerenza logica e costituzionale del sistema elettorale proposto. Anzitutto, va verificato se è proprio vero che con tale sistema “siano gli elettori nelle urne a decidere chi debba governare”. Se questa espressione ha un senso, essa dovrebbe significare che è la maggioranza degli elettori a decidere chi debba governare: una maggioranza reale e non fittizia. Del resto, è questo fondamentalmente il principio su cui si è basata la Corte Costituzionale nel cancellare il “Porcellum”, e cioè il principio della proporzione tra il consenso elettorale e la maggioranza parlamentare. Ora, appare difficile sostenere che tale principio sia rispettato assegnando al vincitore nel primo turno, e ancor più nel ballottaggio, il premio proposto da D’Alimonte. Ma c’è ancor di più. Se si confronta il sistema proposto con il sistema elettorale in vigore nelle principali democrazie occidentali (Stati Uniti, Francia, Germania, Inghilterra), si vede subito che in quei sistemi realmente il vincitore è colui che ha conseguito la maggioranza del consenso elettorale. Infatti, negli Stati Uniti la sfida è tra i due candidati alla Presidenza, e vince il candidato che ha ricevuto la maggioranza dei consensi. In Francia, idem; con l’ulteriore aggiunta che l’Assemblea viene eletta indipendentemente dal voto presidenziale. In Germania è il partito o coalizione vincente che si assicura la maggioranza parlamentare, e quindi il cancellierato, sulla base di un sistema elettorale proporzionale sia pure con ragionevole soglia di sbarramento. In Inghilterra, infine, è sempre il partito e il suo leader che hanno vinto le elezioni sulla base del maggior consenso popolare raccolto in collegi uninominali ad avere l’investitura a governare; cioè, la maggioranza è radicata in un consenso democraticamente espresso. Nessun “premio di maggioranza”, dunque, nei predetti sistemi.

Risulta evidente l’anomalia del sistema proposto, perché non c’è nessun radicamento della maggioranza parlamentare nel consenso elettorale, ma c’è una artificiosa costruzione di detta maggioranza, adulterando il risultato elettorale. Mi sembra, quindi, che non si possa affermare che “siano gli elettori a decidere chi debba governare”. […]

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