Le Corti e il voto. “Gianni Ferrara – In un Paese civile”

Così come l’ultima vestigia del diritto creato a Roma nell’antichità cadde a Bisanzio proprio nel mentre si discuteva di improponibili quesiti, così, mi sembra, che si stia discutendo, qui in Italia, dell’ammissibilità della questione di costituzionalità della legge elettorale nel mentre si dissolve la legittimità di tre Legislature della Repubblica, l’attuale inclusa. Fatto assolutamente senza precedenti nella storia degli stati.

In ogni Paese civile, la declaratoria di incostituzionalità del sistema di elezione del Parlamento – cioè della legge che sancisce la forma di stato e inerisce alla forma di governo – avrebbe determinato, immediatamente e senza alcuna esitazione, lo scioglimento immediato delle assemblee elette con quel sistema, stante la fortuna di disporre di un meccanismo elettorale di risulta costituzionalmente corretto e immediatamente utilizzabile, depurato com’è delle disposizioni illegittime. Ma siamo in Italia. Ci tocca quindi constatare che le due Camere del Parlamento restano, spavaldamente, in carica. Per giunta si apprestano a riformare addirittura la Costituzione ed intanto a provvedersi di un altro sistema elettorale. A proporlo sono due personaggi ambedue sprovvisti di potere propositivo legale. Uno perché condannato per truffa a danno dello stato ed interdetto dai pubblici uffici, l’altro perché titolare di una carica che lo rende incompatibile col mandato parlamentare. Ambedue in preda all’ossessione di acquisire, esercitare e incrementare potere personale, anche calpestando norme e principi. Ma non basta. Ad integrare la devastazione giuridica, politica e morale che sta attraversando la nostra Repubblica, si aggiunge il tipo di sistema elettorale che propugnano i due usurpatori dei diritti dei componenti delle due Camere. Sistema che riproduce sfacciatamente le incostituzionalità già accertate dalla Corte, le riveste e le imbelletta con sguaiata volgarità.

Chi scrive, tuttavia, resta imperterrito difensore del parlamentarismo. Al punto da sognare un’estrema improbabilità.  Pur se nominati e non eletti, è dal voto alle liste che contenevano i loro nome che i deputati e i senatori in carica derivano i poteri che spettano ai membri del Parlamento. È dal voto delle elettrici e degli elettori, pur se con sistema truffaldino, è dal corpo elettorale, pur se compresso e resecato, è in nome di quel poco che forse resta ancora della sovranità popolare che i deputati e i senatori seggono sugli scanni delle Aule delle due Camere.  Potrebbero perciò riscattarsi dall’essere stati nominati e non eletti, potrebbero, per una volta, liberarsi dal dovere di ubbidire a chi li ha inclusi nelle liste e sentirsi obbligati invece a rappresentare “la Nazione senza vincolo di mandato” rifiutando di approvare una legge elettorale progettata da chi usurpa il loro potere fondamentale di proposta e di approvazione delle leggi.

Una legge elettorale che si basa su due negazioni, due violazioni dei principi elementari dello stato rappresentativo e della democrazia. Uno è il principio della libertà di voto, quindi di scegliersi chi votare come proprio rappresentante. È menzogna volgare asserire che si è liberi di scegliere in caso di lista bloccata. Lo si sarebbe soltanto … votando per una lista avversaria a quella preferita con il candidato preferito collocato però in una posizione di assoluta improbabilità di elezione.

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