Le Corti e il voto. “Augusto Cerri – Dopo la sentenza della Corte – Il nodo della legge elettorale”

Non mi soffermo sul problema dell’ammissibilità, di cui abbiamo discusso ampiamente nel precedente incontro di studio, se non per dire che la Corte lo affronta con estremo pragmatismo, a metà fra l’overruling ed il distinguishing, raggiungendo, peraltro, risultati soddisfacenti. Il prezzo di questo pragmatismo, utile a convogliare il massimo possibile dei consensi nella concreta decisione, è il permanere di dubbi sul terreno teorico, suscettibili di riverberarsi sulla soluzione di questioni future. Vuol dire che dovremo continuare a discutere sui temi di fondo sottesi, fino a raggiungere un risultato da tutti consentito.

Ma, veniamo al merito.

La Cassazione aveva prospettato una serie di censure relative alla Legge elettorale n. 270/2005, fra loro coordinate, che investivano: 1) la violazione del principio di rappresentatività, attraverso un elevato premio di maggioranza da attribuire alla lista od alla coalizione di maggioranza relativa, a prescindere da un quorum minimo effettivamente conseguito; 2) la irragionevolezza/irrazionalità della normativa sulla elezione del Senato, nella quale il premio di maggioranza, preordinato a garantire la c. d. “governabilità”, veniva configurato in modo tale (attraverso l’attribuzione differenziata su basi regionali) da poter sortire effetti contrari al suo scopo ed alla sua giustificazione; 3) il possibile aggiramento, attraverso un elevato premio di maggioranza, dello scopo sotteso ai quorum di garanzia previsti in Costrizione; 4) la violazione del diritto degli elettori di scelta fra i candidati.

La Corte costituzionale richiama con estrema precisione le censure proposte dall’atto introduttivo, ma poi si sofferma essenzialmente sulla prima, sulla seconda, sulla quarta. La terza (quella relativa all’elusione dello scopo dei quorum di garanzia) resta in ombra, assorbita probabilmente dall’accoglimento delle rimanenti. Riaffiora, peraltro, quasi di sfuggita, quando la Corte richiama l’attenzione del legislatore futuro sul rilievo di garanzia proprio del Parlamento, diverso dal ruolo dei consigli regionali, provinciali, comunali.

La decisione della Corte è, nel complesso, immediatamente operativa (avrei qualche dubbio, peraltro, in tema di scelta dei candidati ad opera degli elettori) e ciò evita un vuoto legislativo che la Corte ritiene inaccettabile (quando si tratti di istituto necessario) anche come esito di una sentenza di accoglimento e non solo di una abrogazione per via di referendum (sul punto la Cassazione si era mostrata dubbiosa).

Gli effetti immediati di tale decisione, pur sostenibili sul terreno operativo e migliorativi sotto ogni aspetto della situazione esistente, sono probabilmente inferiori a quelli che si potrebbero ottenere con un pieno esercizio della discrezionalità politica. Ciò, appunto, spiega come la classe politica si sia messa subito all’opera per elaborare un progetto di riforma, nei termini che tutti, del resto, conosciamo.

Non penso sia proficuo illustrare i risvolti positivi che possono avere le proposte attualmente sul tappeto; è più utile, invece, rilevarne i punti deboli (o quelli che, a mio sommesso avviso, sono tali).

Preservare il ruolo dei quorum di garanzia, conservare un certo pluralismo nella composizione delle assemblee elettive, pur nella garanzia della governabilità, ed anche preservare un qualche indipendenza dell’eletto, compatibile con la disciplina di partito o di coalizione nelle decisioni più propriamente politiche sono temi fra loro collegati, che il disegno di legge attualmente all’esame della camera, finisce con il sottovalutare.

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