Laura Pelucchini, Recensione a L. Ferrajoli, Costituzionalismo oltre lo Stato, Modena, Mucchi Editore, 2017, pp. 77

Il costituzionalismo contemporaneo sempre di più somiglia all’ “Eracle al bivio” nella celebre favola di Prodico di Ceo. Se nel mito greco il giovane era sospeso tra fanciullezza e adolescenza, chiamato a scegliere fra vizio e virtù per compiere il passaggio verso l’età adulta, così la politica e il diritto pubblico si trovano oggigiorno di fronte ad una scelta altrettanto inevitabile. Da un lato, infatti, si ha il convinto perseguimento del processo costituente europeo (e globale) a cui deve far seguito un procedimento di integrazione politica volto alla protezione e promozione dei diritti umani; dall’altro, vi è invece il dietrofront che scaturirebbe dalla vittoria dei populismi nazionali, con la conseguente disfatta delle economie e delle democrazie occidentali nonché la disgregazione comunitaria. Dunque, o si va avanti, perseguendo il cammino – già iniziato – verso una nuova maturità, oppure si torna radicalmente e brutalmente indietro (p.68). Questo è lo scenario che viene prospettato da Luigi Ferrajoli a conclusione del proprio volume Costituzionalismo oltre lo Stato, un libro che nasce dall’intento di esplorare e promuovere le potenzialità del paradigma costituzionale quale rimedio alla diffusa crisi attuale, valorizzandone le molteplici capacità di contenuto e le concrete possibilità di sviluppo. Per giungere a una piena comprensione della modernità, l’opera prende le mosse dall’analisi della nascita del paradigma della democrazia costituzionale – come lo intendiamo oggi – all’incirca a metà di quello che Hobsbawm ha definito il Secolo breve, facendo particolare riferimento alla stagione costituente degli anni 1945-49.

Le nuove Costituzioni del secondo dopoguerra e le Carte sovranazionali dell’epoca veicolarono infatti un concetto profondamente rinnovato di sovranità, scevro dell’originaria assolutezza. In particolare, a livello domestico, il potere statale veniva imbrigliato dalle novelle garanzie costituzionali, volte a stabilire una ferma subordinazione della legge ai capisaldi della Carta fondamentale. Nelle dinamiche esterne, invece, il rifiuto unanime espresso dal consesso internazionale nei confronti della guerra limitava la spinta espansionistica delle Nazioni, imponendo il rispetto di un equilibrio globale prestabilito. La rigidità costituzionale finiva così per plasmare sia la natura del diritto – secondo i dettami della coerenza con i principi supremi e della completezza rispetto al sistema normativo preesistente – sia quella della democrazia rappresentativa, arricchita dall’omnipervasiva garanzia del rispetto […]

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