Jan Sawicki, Debito pubblico e Costituzione americana:una prospettiva storica

Fifty-five citizens of twelve states gathered to decide how to pay past due bills from the War of Independence. They solved that problem by creating a new nation, the United States of America». A qualcuno potrà apparire un’enfasi persino eccessiva, ma sembra appurato che il peso del debito contratto dalla precedente debole Confederazione, allo scopo di assicurarsi la liberazione definitiva dalla madrepatria britannica, sia stato un impulso importante tra quelli che hanno propiziato, nella Convenzione di Filadelfia, la genesi di ciò che si sarebbe poi trasformato in una superpotenza mondiale.

Se si osservano le Costituzioni in vigore, quelle storiche, le successive revisioni o testi normativi anche a livello sovranazionale di livello materialmente costituzionale, dall’angolazione dei rapporti con il tema della finanza pubblica, se ne ricava l’impressione che i primi documenti di sistema ad ammettere, a legittimare il ricorso all’indebitamento o l’accumulazione di debito come strumento di governo dell’economia, o anche solo a evocare tali concetti, siano stati per apparente paradosso quelli orientati alla loro più stringente disciplina o limitazione. In realtà la constatazione da fare al riguardo è un po’ più ricercata, ai limiti della sofisticazione.

Diverse Costituzioni storiche non ignorano il problema del debito pubblico e ne fanno menzione, preoccupandosi in genere di assicurare l’impegno a onorarlo. Ma la differenza sottile con quelle attuali (o con molte di loro, e in ogni caso con alcune più recenti revisioni) sta nel fatto che non considerano in genere una grandezza come il deficit, o il disavanzo. L’assunto di partenza di molte Costituzioni attuali, al contrario, ritiene necessario prendere di mira il deficit, isolato essenzialmente per esercizi annuali, in quanto considera che il controllo su questo fenomeno sia lo strumento appropriato per facilitare la sostenibilità del debito consolidato complessivo, il quale proprio per questo motivo non viene considerato come dato statico ma tenuto sotto osservazione come realtà mutevole, e proprio perciò anche più insidiosa.

Ci si potrebbe chiedere se il silenzio in merito da parte di molte delle carte preesistenti vada inteso come indifferenza rispetto al problema, come implicita accettazione per politiche di indebitamento incrementale o al contrario come contrarietà alle stesse, una contrarietà che neanche viene espressa in quanto magari ritenuta superflua per l’eterodossia, a quei tempi, di politiche di deliberato ricorso al debito a fini di strategia economica. Ad ogni modo la realtà preesistente e ancor più quella attuale sono alquanto complesse e variegate in questa materia. Se nel caso delle Costituzioni europee continentali, in prevalenza del secondo dopoguerra, si è parlato talora di orientamenti keynesiani impliciti, l’opposto vale per la Costituzione americana, in merito alla quale si è ragionato di un «principio costituzionale implicito» che imponeva – o almeno a lungo si ritenne imponesse – di commisurare le spese federali alle entrate tributarie[5]. Ma è davvero così, e lo è sempre stato?[…]

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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Introduzione – 2. La Costituzione e il debito come problema storico – 3. Il disavanzo come problema strutturale nel XX secolo e le misure legislative di sistema approvate per combatterlo – 4. Il debt ceiling e il contenimento del debito federale – 5. I tentativi infruttuosi di introdurre un emendamento costituzionale volto al balanced budget – 6. Considerazioni conclusive.

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