Siamo tutti convinti, anche noi costituzionalisti continentali, che il cuore vero del costituzionalismo sia quella dialettica iurisdictio/gubernaculum, in cui prese corpo il limite al potere e quindi la stessa rule of law, che ancora oggi in esso largamente si identifica. Tuttavia, nel costituzionalismo come oggi lo concepiamo, non meno della limitazione del potere, è la sua legittimazione ad apparire un profilo essenziale. E non può che essere così, da quando la costituzione ha preso ad essere concepita come un patto fondativo fra individui liberi, che – nella visione originaria di Locke- danno vita a poteri pubblici, legittimati ad operare e a rimanere se e sino a quando non violano i loro diritti naturali.
Sia chiaro, oggi siamo al di là dell’ideologia rivoluzionaria, che considerava costituzioni solo quelle che definiscono e tutelano i diritti e le libertà. E riteniamo componenti essenziali della costituzione e quindi del costituzionalismo gli aspetti che riguardano la legittimazione dei poteri pubblici, sia essa o meno di fonte democratica, e l’organizzazione di essi che ne consegue. Costituzione è, perciò, anche, e per molti anzi in primis, la forma di governo, accompagnata da quella che in più manuali è la forma di regime, cioè i rapporti fra i poteri pubblici e i diritti e le libertà dei cittadini.
In questa prospettiva, il costituzionalismo appare legato a filo doppio allo Stato. E’ all’interno di questo che ciascuna comunità politica ha potuto identificarsi come tale e dotarsi di una forma di governo e di una forma di regime. Anzi di più, perché, sempre nei nostri manuali, noi facciamo precedere alla forma di governo e alla forma di regime la forma di Stato. Quale che essa sia, è questa, è perciò l’organizzazione accentrata, regionale, o federale dello Stato il punto di partenza; ed è quindi lo Stato stesso l’habitat naturale della Costituzione.
2.Il problema che abbiamo davanti, a parte quelli che lo Stato ha anche al suo interno per le nuove difficoltà di legittimazione dovute alle diversificazioni che in più casi lacerano la comunità politica di riferimento, è il moltiplicarsi dei poteri che sovrastano lo stesso Stato in un mondo nel quale diverse attività hanno ormai dimensione sovranazionale. In uno spazio, appunto, sovranazionale, nel quale operano organizzazioni internazionali, reti, istituzioni pubblico-private e private, che adottano indirizzi, regole, decisioni, variamente incidenti sugli stessi sistemi legali nazionali e sulle vite di tutti noi, si può fare a meno del costituzionalismo? Ma quale costituzionalismo è possibile? E se ne vedono o meno le tracce?
Non sono domande nuove, anzi da tempo si confrontano le risposte che vengono date. E’ ovvio che il diritto c’è in quello spazio e ce n’è delle specie più diverse, in ragione ora dell’estensione extraterritoriale di regolazioni o decisioni degli stessi Stati, ora degli obblighi da essi assunti a fronte delle deliberazioni degli organismi internazionali da loro costituiti, ora dell’efficacia comunque riconosciuta alle regolazioni e decisioni delle variegate istituzioni, comprese quelle private, che queste adottano nei diversi settori a cui sovraintendono. Si constata così la presenza di profili di diritto internazionale, penale, privato, commerciale, tributario, pubblico – pubblico/amministrativo, ma anche pubblico/costituzionale.
Certo, in una cornice fatta di interrelazioni a rete, che a volte sono fitte e dense, a volte appena segnate, a volte con aree prive di illuminazione (le luci nella notte di A.M. Slaughter, il quadro di Pollock evocato da R. Stewart, il disordine degli ordini normativi di N. Walker) ad apparire fuori posto è soprattutto il diritto costituzionale, cresciuto – come si diceva – nella solida cornice dello Stato; una cornice che può ben essere pluralista, ma sempre con le sue linee gerarchiche (c’è sempre una supremacy clause!) […]