Giulia Santomauro, Recensione a L. Chieffi, Il diritto all’autodeterminazione terapeutica. Origine ed evoluzione di un valore costituzionale, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 200

Il diritto a compiere scelte autonome riferibili alla sfera della salute è una delle questioni più dibattute attualmente nel nostro ordinamento. Pur prestandosi a riflessioni di natura differente, come quella di tipo religioso, etico-filosofico o sociale, l’autodeterminazione terapeutica esige sicuramente un’attenta analisi del tessuto costituzionale e normativo, oltre che delle fonti sovranazionali. Il nuovo volume di Lorenzo Chieffi, oggetto della presente recensione, sembra prendere le mosse proprio dall’intento di investigare quei punti cardine che possono essere rintracciati nella Carta fondamentale e su cui si dovrebbe fondare una discussione accurata relativa alla facoltà di decidere secondo le inclinazioni personali di ciascuno nell’ultima fase della propria esistenza. L’Autore, in effetti, riesce efficacemente a mettere in luce il percorso compiuto dal diritto alla salute rispetto all’assetto di origine fascista per giungere fino al dibattito compiuto in Assemblea Costituente e ai contemporanei sviluppi legislativi supportati dalla giurisprudenza, i quali hanno privilegiato un orientamento propenso alla progressiva indipendenza consapevole dell’infermo.

Allo scopo di sviscerare un tema complesso come la libertà di azione nel fine vita, la prima sezione del testo si focalizza sul combinato di quegli articoli della Costituzione che legittimano la capacità dell’individuo a governare il proprio corpo. In particolare, il disposto a cui si fa riferimento per giustificare la rinuncia a qualsiasi trattamento sanitario è quello derivabile dagli articoli 2, 13 e 32 Cost. A questo proposito, dallo studio del passaggio dal precedente Stato autoritario e paternalista a quello di impronta fortemente personalista della Carta del ’48 emerge, in primis, l’intenzione dei padri repubblicani di riportare al centro della struttura pubblicistica la promozione del cittadino. Infatti, mentre durante il ventennio fascista si era consolidata l’idea di una salvaguardia coatta della salute in funzione prettamente nazionale, con l’introduzione della Costituzione tale tutela perde il suo connotato di doverosità e abbraccia quello della libertà. In questo senso, il diritto alla salute allarga il suo significato dalla semplice assenza di malattia alla più ampia accezione di integrità psicofisica. I confini delimitati dallo stesso art. 32, comma 2 e 3 Cost., secondo i quali, rispettivamente, l’imposizione di trattamenti sanitari obbligatori è contemplata solamente dalla legge e, ad ogni modo, nei “limiti imposti dal rispetto della persona umana”, confermano la presenza di un apparato a favore dell’individuo sotto vari aspetti. Pertanto, l’“interesse della collettività” […]

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