Sergio Spatola, Recensione a G. Celi, A. Ginzburg, D. Guarascio, A. Simonazzi. Una Unione divisiva. Come salvare il progetto europeo, Bologna, Il Mulino, 2020, pp. 312.

Lo spunto (e il suggerimento) più interessante del volume è che, per la ri-partenza del progetto europeo, occorra uscire dalla tecnocrazia neoliberista per “giungere finalmente” alla politica, quantomeno economica. Quando si è abbandonata quest’ultima? Quando “una coesione politica insufficiente e una teoria economica sbagliata” hanno affidato al “«pilota automatico» di una presunta ineluttabilità tecnica” il timone del progetto europeo che nasce “preminentemente politico” (p. 10). Contrastando con la lettura predominante della crisi come un “classico problema di bilancia dei pagamenti”, gli Autori intendono dimostrare, senza lesinare dottrina e dati, che le misure di austerità, giustificate da detta lettura, “hanno contribuito di fatto ad allargare i divari tra il centro e la periferia e tra le due periferie, mediterranea e orientale” (p. 20).

Attraverso l’analisi delle diverse traiettorie dei paesi periferici e di quelli centrali, il volume prima conferma l’interdipendenza delle economie europee per poi fornire una spiegazione al fallimento dell’esportazione della via tedesca. La Germania, infatti, contrariamente alle “spiegazioni monotematiche che identificano la moderazione salariale quale unica determinante del surplus commerciale tedesco” (p. 15), ha superato grazie ad altri fattori la grande inflazione degli anni Settanta, accompagnata dalle note tensioni politiche e sociali.  I legami tedeschi con i mercati a forte crescita dei paesi emergenti, la competitività di costo ottenuta con le riforme Hartz che hanno segmentato il mercato del lavoro, e la delocalizzazione non dell’intera filiera manifatturiera ma della sola componentistica, hanno consentito alla Germania di profittare, più di ogni altro Stato membro, del mercato unico. Il successo delle politiche economiche tedesche, dagli anni Settanta in poi, ha posto, poi, la Germania in una posizione di forza nell’imporre la propria idea di Europa, fondata sul “perseguimento della stabilità dei prezzi quale unica strategia per la crescita” (p. 11) e, dunque, sulla separazione tra moneta e Stato. […]

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