STATI UNITI, Giulia Aravantinou Leonidi, Il declino della democrazia americana. Paralisi e disfunzione di un ordinamento. Le sfide della lame-duck presidency di Obama

La democrazia è la destinazione finale della storia politica, dice Francis Fukuyama. Rispetto al saggio pubblicato nel 1989, l’ultima fatica dello studioso nippoamericano, Political order and Political Decay: From the industrial Revolution to the Globalization of Democracy, propone un ritratto impietoso dello stato della democrazia americana. Una classe media in declino, una disuguaglianza di reddito in continuo aumento, interessi privati in crescente interconnessione con la politica e un immobilismo causato dall’estrema polarizzazione del confronto politico, elementi che hanno condotto ad una crisi di rappresentanza.

La democrazia americana è divenuta nel corso degli ultimi trent’anni più di massa, altamente corrotta e sempre meno capace di governabilità. L’elefantiasi di cui si trova ad essere affetta la burocrazia, il progressivo indebolimento della classe media, polverizzata a causa della forte recessione, la divaricazione del gap socio-seconomico della società e il rafforzamento dell’influenza dei gruppi di interesse privati nella vita politica del Paese, rappresentano i sintomi della malattia che oggi affligge la democrazia americana.

Chissà cosa penserebbe Alexis de Toqueville, ammiratore delle istituzioni e del sistema politico degli Stati Uniti, nell’osservare gli evidenti segnali di quella che si rivela come una reale paralisi sistemica, dovuta alla moltiplicazione degli attori politici.

Lo squilibrio nei rapporti istituzionali che ne consegue, mina le basi del sistema politico statunitense, governato da quei meccanismi cd. di checks and balances tra i supremi organi costituzionali, che consentono ai poteri, in rapporto di indipendenza tra loro, di dialogare, permettendo il funzionamento dell’assetto istituzionale in ossequio allo spirito dei Padri Fondatori, in concorso con il principio della separazione rigida dei poteri che oggi è fortemente in crisi. Già nel 2003 Bruce Ackerman, nel suo volume La Nuova Separazione dei Poteri, notava che la forma di governo a rigida separazione dei poteri tra Camera, Senato e Presidenza sembra inevitabilmente destinata a continue oscillazioni, , tra l’operare in regime di piena autorità legislativa e la paralisi complessiva dei meccanismi costituzionali.

E’ in questo contesto che si inserisce la sentenza della Corte Suprema nel caso National Labor Relations Board, Petioner v. Noel Canning del giugno 2014 che ha contribuito ad una ridefinizione del bilanciamento della separazione dei poteri tra esecutivo e legislativo alla vigilia dell’appuntamento le elezioni di metà mandato e che ha assunto una forte valenza politica, consacrando nuovamente l’attivismo della Corte Suprema nel definire le trasformazioni della forma di governo presidenziale.

Le elezioni di mid-term, che si sono celebrate il 4 novembre, concorrono a definire ulteriormente lo stato di decadimento e immobilismo che il sistema politico americano si trova a vivere. Il voto ha riguardato il rinnovo dei 435 seggi della Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato, oltre che la scelta dei governatori di 36 dei 50 stati membri della federazione. Le elezioni hanno sancito l’affermazione del Grand Old Party, dopo otto anni infatti il Congresso è stato riconquistato dai repubblicani che hanno conservato il controllo della Camera dei rappresentanti e guadagnato la maggioranza al Senato. Anche nelle elezioni per i governatori degli Stati ha vinto il partito dell’elefantino, sbaragliando gli avversari anche negli Stati considerati tradizionalmente delle roccaforti democratiche. Si è aperta così una fase politica nuova, con un presidente democratico che dovrà affrontare gli ultimi due anni del suo mandato da lame duck, anatra zoppa, senza poter contare sull’appoggio di una maggioranza congressuale a lui favorevole. […]

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