Marco Cacciatore, President Rouhani: the year after

Un anno dopo le Elezioni presidenziali iraniane del 2013, la Presidenza Rouhani è sottoposta ai primi bilanci – non solo economici. Il risultato delle urne del giugno 2013 aveva destato aspettative di distensione, che da subito si erano identificate con l’esito pacifico dei nuclear talks. Lo scenario politico iraniano riconosce alle materie di politica internazionale un rilievo cardinale per la valutazione dei Governi: come risulta tipico di tutti i territori dalla Storia influenzata dall’esterno. Pur senza mai essere stata formalmente colonia, la Repubblica islamica dell’Iran ha fatto della sua natura anticoloniale ed anti-occidentale, della reazione alla sudditanza prima anglo-russa, poi americana, la radice di quella rivolta popolare che, a partire dagli anni ‘60, ha convogliato il malcontento verso la famiglia regnante dei Pahlavi: fino a spodestarli con la Rivoluzione khomeinista del 1979. In comune con molti Paesi ex-coloniali, tuttavia, l’Iran presenta una forma costituzionale ibrida: dove la radice islamica, fonte del potere, si combina con un Ordinamento repubblicano presidenziale, che ricalca le forme dello Stato di diritto per tutto quanto non attenga la legittimità islamica – noumenica e non razionale, con la serie di conseguenze che ne derivano, sul lato sostanziale e materiale dell’assetto costituzionale. L’organizzazione delle funzioni, e degli organi che rispettivamente le esercitano, influenzata in maniera decisiva e squilibrata dalle prerogative della Guida, stando al solo aspetto formale restituisce alcune apparenti analogie rispetto agli Stati di tradizione liberale. Dalle forme costituzionali della Repubblica islamica, rileva ad esempio la coesistenza del principio islamico con formule di legittimazione incardinate intorno al consenso popolare. Posto che la consultazione popolare non è estranea all’Islam, che piuttosto la annovera tra le fonti coraniche di organizzazione della cosa pubblica – c.d. shura, al netto della prevalenza che in Iran assume il principio islamico rispetto alla Sovranità popolare: è evidente che gli istituti elettorali propri dello Stato di diritto occidentale siano stati recepiti nell’assetto costituzionale della Repubblica islamica, sebbene assumendo un senso sostanzialmente differente. La tradizione di pensiero politico sciita, discostandosi dal Sunnismo, rifiuta il concetto di shura: considerando prevalente il dettato coranico, la tramandazione testuale, come metodo di selezione della guida politica. Tuttavia, anche nel pensiero sciita, il vertice politico deve godere della legittimazione dei sottoposti – c.d. ijtihar, garantire loro protezione militare e dal bisogno, agire nel nome della sovranità divina e della sua legge: scritta nel Corano, interpretata nella Shari’a – diversa a seconda della Scuola giuridica – e resa effettiva nel fiqh – Diritto positivo, di natura giurisprudenziale, che cambia a seconda della Scuola giuridica del convenuto, dell’attore, del Giudice, nonché dell’assetto istituzionale e politico in cui si inseriscono le pronunce giudiziali. La Volontà popolare, della quale pure rileva un ruolo, viene dunque mediata coi principi islamici ed inquadrata nella Sovranità divina: che ne ispira gli obiettivi di Giustizia sociale e di coesistenza pacifica. Posto che per la dottrina politica sciita non può neppure annoverarsi l’esistenza di una separazione dei poteri, concentrati in un Vertice politico che semplicemente veicola in terra la Volontà divina, la Repubblica islamica dell’Iran non appare inscrivibile sic et simpliciter tra i regimi teocratici: pur essendo governata dal vertice del clero sciita. Questo perché, innanzitutto, alle fonti islamiche si integrano le fonti di ispirazione occidentale: a comporre una Costituzione formale che mette in relazione sincretica l’elemento noumenico e quello razionale della legittimità. […]

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