Luca Bartolucci, Recensione a A. Buratti, La frontiera americana. Una interpretazione costituzionale, Verona, Ombre Corte Edizioni, 2016, pp. 151

Il volume di Andrea Buratti ha l’obiettivo di leggere la scoperta e l’espansione della “frontiera americana” come esperienza costituente. Il periodo della frontiera americana, in particolare, ha inizio nel 1783 – col Trattato di Parigi che pose fine alla guerra d’Indipendenza – e finisce nel 1868. È stato, questo, un periodo di formazione del diritto americano nel quale la tradizione costituzionale della frontiera ha rappresentato “il principale motivo di sfida, sviluppo e trasformazione della Costituzione di Filadelfia, contribuendo a plasmare l’identità costituzionale americana” (p. 9).

Ammettere questo, tuttavia, non è stato semplice per la cultura giuridica americana poiché ha richiesto la parziale messa in discussione dell’opera dei Founding Fathers e del suo valore fondativo: è stato necessario prendere atto, infatti, che “l’esperienza costituente non si è esaurita nel momento della scrittura costituzionale, ma si è dilaniata nell’orizzonte storico, per definirsi attraverso processi di costruzione culturale e sociale della Costituzione” (p. 11).

Nel primo capitolo, in particolare, l’Autore si occupa dell’Ordinanza del Nord Ovest e del progetto costituzionale della frontiera. Durante la guerra d’Indipendenza si sviluppò una riflessione sull’assetto costituzionale da assegnare ai territori occidentali. La riflessione si acuì con la fine della guerra e il Trattato di Parigi, che costrinse l’Inghilterra a rinunciare ai suoi possedimenti a ovest degli Appalachi. Tuttavia, nel cedere agli Stati Uniti i territori inglesi, il Trattato di Parigi non aveva considerato i diritti dei nativi americani: gli inglesi, infatti, non avevano riconosciuto i nativi come titolari di un diritto di sovranità sul territorio americano. Venne riconosciuto ai nativi il solo diritto di proprietà sulle terre, cosicché iniziarono ad esserci compravendite coi coloni. In breve tempo, tuttavia, abusi e frodi contribuirono a incrinare i rapporti con gli americani.

Due fattori, in particolare, spingevano verso un’organizzazione giuridica dei territori occidentali: da una parte si volevano distribuire le terre ai combattenti dell’esercito rivoluzionario, senza aggravare la crisi del bilancio confederale; dall’altro lato le comunità così stabilite avrebbero potuto dar vita a Stati autonomi. Sembrava chiaro che “occorreva muoversi con urgenza, altrimenti la colonizzazione delle terre si sarebbe svolta al di fuori di un preciso quadro giuridico, e senza un ritorno economico per la Confederazione” (p. 24).

I lavori iniziarono da un progetto di un comitato guidato da Thomas Jefferson. Si prevedeva la divisione del territorio in 14 Stati. In una fase transitoria questi Stati avrebbero applicato, senza possibilità di modifiche, la Costituzione di uno degli Stati dell’Unione. Una volta raggiunta la popolazione di 20.000 persone avrebbero potuto dotarsi di un governo provvisorio con istituzioni rappresentative elette senza restrizioni di censo e collegate al Congresso confederale (tramite l’invio di un rappresentante senza diritto di voto). Infine, una volta raggiunta la popolosità dello Stato meno popoloso dell’Unione avrebbero potuto chiedere l’ammissione all’Unione stessa in condizioni di parità con gli altri Stati, con gli impegni di condividere il debito, vietare i titoli nobiliari e escludere la schiavitù dal 1800.

Il progetto di Jefferson venne modificato dal Congresso, soprattutto per quanto riguardava i punti su titoli nobiliari e schiavitù. Il 23 aprile 1784 venne ad ogni modo approvata la Ordinance. Fu, invece, del 1785 la c.d. Land Ordinance: questa rivestì un ruolo decisivo per come venne configurato il modello della proprietà terriera in America, contribuendo “a plasmare il modello sociale della democrazia di frontiera” (p. 28).

Fu, però, l’Ordinanza del Nord Ovest del 1787 il vero atto fondativo di un ordine costituzionale per i territori di frontiera. L’Ordinanza rivedeva la fase transitoria prevista da quella del 1784 e anche il processo che conduceva all’ammissione all’Unione che era regolato da un Compact sottoscritto tra gli Stati originari e i popoli e gli Stati di nuova costituzione. I primi due articoli di tale Compact, peraltro, prevedevano un vero e proprio Bill of Rights della frontiera. Bisogna notare che, nonostante non potesse essere assimilabile ad una Costituzione in senso stretto, l’Ordinanza ha esibito lo stesso un “carattere costituente dell’ordinamento dei territori, rispetto ai quali pretende di stabilirsi come quadro regolativo permanente e progetto di emancipazione democratica coerente con i valori costituzionali della tradizione americana” (p. 33). L’Ordinanza va dunque a pieno titolo annoverata tra i documenti più importanti del decennio costituente, anche per il ruolo che rivestì nella formazione di una cultura costituzionale della frontiera. […]

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