Flavia Zorzi Giustiniani, I limiti alla libertà di espressione nell’agorà politica virtuale e la cyberviolenza come nuova forma di violenza domestica

  1. Il 9 settembre 2019 Facebook oscurava la pagina di Forza Nuova perché, come motivato dal social network, “le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri, sulla base di chi sono, non trovano posto su Facebook Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole indipendentemente dalla loro ideologia”. Stessa sorte, per analoghi motivi, è toccata a CasaPound Italia il 9 dicembre scorso.

A seguito di tre ricorsi d’urgenza presentati dalle suddette organizzazioni di estrema destra e da un loro esponente, tre giudici hanno fornito una diversa interpretazione del rapporto tra incitazione all’odio e libertà di espressione sulla rete. Il primo provvedimento, adottato in sede cautelare il 12 dicembre scorso dal Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di impresa, ha accolto il ricorso di Casa Pound e imposto a Facebook di riattivare immediatamente la pagina dell’Associazione e il profilo del suo amministratore. Secondo il giudice della cautela Stefania Garrisi sarebbe “evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook, con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso dal dibattito politico italiano”. In virtù della “speciale posizione” di Facebook, quest’ultimo “nella contrattazione con gli utenti deve strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente”. La giudice ha rilevato pertanto che l’esclusione di CasaPound da Facebook sia in contrasto con il principio del pluralismo politico garantito dall’art. 49 della Carta.

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