Massimiliano Gregorio, Parte totale. Vincenzo Zangara e le dottrine del partito politico negli anni Trenta

Parte totale è un’espressione tanto affascinante quanto controversa e pertanto non sembrano inutili alcune premesse definitorie. Come è noto, essa viene comunemente associata al peculiare ruolo svolto dai partiti unici nei regimi totalitari del Novecento, secondo l’idea per cui una parte, una volta conquistato il potere, si sentiva legittimata a identificarsi con il tutto. A mio parere, tuttavia, quest’ultima è solo una delle possibili declinazioni di parte totale. Il concetto ha infatti potenzialità semantiche più ampie, essendo idoneo ad esprimere la complessiva idea di partito prodotta dall’intera riflessione costituzionale del secolo XX. In questa seconda ottica, parte totale non alluderebbe dunque più ad una parte che, conquistato il potere, pretendesse di identificarsi con la totalità, ma identificherebbe invece ogni particolare – e particolare perché di parte – interpretazione dell’interesse generale.
Per quanto riguarda la riflessione italiana, il primo a ricostruire in questi termini la natura e le potenzialità costituzionali del partito di massa novecentesco fu Gaspare Ambrosini. Commentando le innovazioni introdotte dalla legge elettorale proporzionale del 1919 e dalla conseguente riforma dei regolamenti parlamentari dell’anno successivo, il giurista agrigentino ebbe infatti lo straordinario merito di separare concettualmente il destino dei partiti da quello dei sindacati.

Non era compito agevole in quegli anni densi e febbrili, nei quali autorevolissimi campioni del liberalismo come Orlando ritenevano la situazione di stallo politico successiva all’introduzione della legge elettorale proporzionale assai più perniciosa del neonato movimento fascista. Dalle colonne del quotidiano argentino «La Nación» di Buenos Aires, con una libertà che forse in patria non si concedeva, Orlando additava con grande sicurezza il pericolo che incombeva sull’Italia: era «la febbre di sindacalismo»2 il guaio di quei tempi; perché «la tendenza sindacale» era evidentemente «incompatibile con quella d’omogeneità che lega tra loro uomini che hanno un comune programma politico sulle sorti del paese»3. E dunque quel florilegio di interessi di parte impediva di perseguire il superiore interesse generale. Ambrosini si dimostrò invece assai più lucido nel mettere a fuoco la diversità strutturale di partiti e sindacati. Questi ultimi nascevano ovviamente col precipuo scopo di difendere interessi settoriali di categoria e se quindi, paradossalmente, si fosse organizzata una Camera su base sindacale, l’esito sarebbe stato ovviamente nefasto, perché si sarebbe alterata «la natura del parlamento, del corpo politico che, secondo la concezione moderna, deve essere costituito da rappresentanti di interessi […]

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SOMMARIO: 1. «Parte totale»: una locuzione controversa; 2. La cesura dottrinale di fine anni Trenta che pose fine al Methodenstreit italiano; 3. Oltre il regime

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