Federico Savastano, Recensione a S. Goulard, M. Monti, “La democrazia in Europa. Guardare lontano”, Milano, Rizzoli, 2012, pp. 227

Un’ idea semplice, ma falsa, avrà sempre più peso nel mondo di un’idea vera, ma complessa. Questa frase di Tocqueville sembra essere il principio ispiratore – il vero e proprio movente – che ha spinto un uomo delle istituzioni come Mario Monti a collaborare con l’europarlamentare francese Sylvie Goulard alla stesura di un volume che cercasse una volta per tutte di rendere intellegibile la dimensione delle principali problematiche politico-istituzionali che l’Europa si trova a fronteggiare nell’ambito della peggior crisi economica che l’abbia attraversata nel dopoguerra.

Gli autori percorrono una strada chiara e lineare che si basa su tre elementi sostanziali: in primo luogo tentano di smentire quelli che sono i più classici, banali e – dunque – erronei luoghi comuni sui presunti malfunzionamenti e sulle presunte colpe delle istituzioni europee in relazione alle vicende socio-economiche dell’ultimo ventennio; in seconda battuta affrontano con lucidità quelli che sono i veri problemi politico-istituzionali dell’Unione, la cui risoluzione porterebbe ad un salto di qualità nell’azione europea, e la cui apparente irrisolvibilità è da imputare esclusivamente al comportamento conservatore e tendenzialmente nazionalista degli Stati membri, gelosi della loro sempre meno significativa sovranità; terzo e ultimo pilastro del discorso riguarda il reale stato delle cose in Europa, con riferimento alla crisi e ai pochi modi di affrontarla dei quali essa deve saper prendere coscienza. Quest’ultima parte non può che sfociare in una serie di considerazioni sulle prospettive di sviluppo del processo di integrazione e sul concetto di federazione europea.

Il discorso di Monti e della Goulard nasce da Tocqueville, si intreccia continuamente e progressivamente con Tocqueville in una sorta di viaggio alla scoperta della politica europea. Il titolo è ovviamente una citazione de La democrazia in America, l’opera fondamentale con la quale Tocqueville raccontò ai francesi il funzionamento della democrazia americana, i suoi pro e i suoi contro, i suo pregi, i suoi vantaggi e i suoi rischi; ogni capitolo inizia con una citazione di Tocqueville, che si propone dunque concretamente come ispiratore di tutte le riflessioni contenute nel volume, come vero e proprio accompagnatore in un percorso con una meta cristallina.

Ovviamente l’intreccio con Tocqueville non vuole essere soltanto un riferimento letterario o filosofico, ma è anche un metodo, neanche troppo celato, di suggerire in chi legge l’accostamento dell’idea di Unione europea con quella degli Stati Uniti d’America, al loro percorso federale, auspicandone un’evoluzione politica simile, in grado di consacrare a livello istituzionale quelle che è il processo federale galoppante cui si è assistito in Europa a partire dall’Atto Unico.

La prima delle riflessioni che viene subito enunciata nel volume è quella per cui una parte delle difficoltà dipende dal fatto che gli Stati membri e l’Unione Europea formano un tutto che solo di rado viene percepito come tale. Si fa riferimento a quello che è il più grande degli ostacoli che il cammino dell’integrazione si è trovato ad affrontare sistematicamente nel corso del tempo: la scarsa percezione di se stesso dovuta innanzitutto al comportamento dei governi degli Stati membri. Ciò che rileva secondo gli autori non è tanto un discorso di gelosia della propria sovranità – che soprattutto in momenti di crisi quali quello attuale diventa francamente anacronistico – quanto piuttosto un problema di dinamiche della politica interna dei vari Stati membri che non hanno mai permesso agli esecutivi degli stessi di pensare davvero in chiave europea, distratti e costretti dalle logiche delle competizioni elettorali nazionali. Su questo tema il discorso finisce con il travalicare i confini della riflessione europeista per trasformarsi in un più complesso e articolato ripensamento filosofico della stessa nozione di democrazia. Il problema degli esecutivi nazionali deviati dalla volontà di compiacere l’elettorato, le cui istanze vengono definite come talvolta ataviche e irrazionali suggerisce un qualcosa di molto simile ad una messa in discussione e ad un generale ripensamento delle democrazie nazionali; ancor di più l’affermare che le istanze popolari impediscano ai politici di mettere a fuoco con obiettività i reali interessi del Paese costituisce uno spunto di riflessione sul concetto stesso di democrazia, e sulla necessità di trovare un interpretazione dello stesso che sia nuova e maggiormente adatta ai nuovi tempi, alle nuove condizioni socio-economiche e alle nuove sfide politiche e istituzionali che si sono o si stanno affacciando nel nostro tempo. […]

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