Marco Cacciatore: Lettura critica: La Rivoluzione costituzionale in Iran. L’Islam, il Costituzionalismo e lo Stato di diritto. Occidente e Persia a confronto

Interrogarsi sull’Iran e le sue forme costituzionali implica, come nel caso di tutti i soggetti del Medio Oriente, alcune e doverose premesse. Questi territori, la loro storia e le loro culture, pur avendo alle spalle millenni di confronto e scontro con l’Occidente, non hanno mai definitivamente assorbito i modelli delle “civilizzazioni”. Al massimo, dell’Occidente essi hanno reinterpretato le nozioni, adattandole al proprio sostrato culturale. Non fa eccezione, rispetto a questo processo, lo Stato di diritto, le sue categorie, i suoi corollari, e l’influenza che essi hanno esercitato sulla Storia dei Paesi mediorientali. Questo modello di costruzione statuale, come autorevolmente definito, è storicamente datato – dalla seconda metà del XVII secolo fino ad oggi – e geograficamente riferito – dalla Gran Bretagna al resto del mondo occidentale, per quanto le sue forme siano state “esportate”. Oggi, tuttavia, la stabilità del concetto stesso di Stato è posta sotto pressione: dai processi internazionali di integrazione regionale quanto dalle spinte centrifughe particolariste.

È intento di questo lavoro osservare – tramite i lavori passati in rassegna – gli eventi iraniani durante la Rivoluzione costituzionale (1906-11), valutando gli effetti di quel fermento culturale che, di lì in poi lungo la Storia costituzionale di questo Paese, avrebbe condotto il dibattito pubblico intorno a temi di rilievo politico: fissando e conferendo struttura alle categorie ancora oggi presenti sullo scenario iraniano. La società civile persiana si sarebbe, da allora, avviata verso l’affermazione delle fondamenta alla base dello Stato nazionale: concretizzatasi negli anni ’20 del 1900, sotto l’egida del generale Reza Khan – poi divenuto Reza Shah Pahlavi. Fu proprio la Rivoluzione costituzionale a traghettare, all’interno della comunità politica persiana, idee e filoni di pensiero di origine occidentale: gli approcci razionalisti, vicini al contrattualismo, figli dell’Illuminismo francese o del liberalismo inglese, quali il pensiero socialista, il nazionalismo ed il parlamentarismo. Il pensiero occidentale, il c.d. “Enlightment”, fu recepito soprattutto dalle classi intellettuali e borghesi, che in seguito si sarebbero rivelate le maggiori portatrici della sua affermazione nel regime politico persiano: denominate “Intellighentsia” da alcuni degli autori qui presi ad oggetto di indagine. Una buona parte dell’Intellighentsia si componeva di giovani, figli di famiglie facoltose di mercanti, burocrati o personaggi inseriti negli ambienti di Corte, che avevano studiato in Europa in virtù di viaggi, intrapresi per lavoro da genitori e parenti, o di scambi culturali istituiti dalla dinastia regnante dei Qajar – notoriamente avvezza alle visite nel Vecchio Continente.

Interiorizzarono i concetti dei filoni di pensiero occidentale che, di ritorno in Patria, fecero circolare con particolare riferimento alla legittimità immanente, alla sovranità nazionale, al costituzionalismo. Alcuni riconducono a filoni russi la diffusione delle idee occidentali, mentre sicuramente dalla Russia proveniva la componente socialista-radicale della Rivoluzione costituzionale, che declinava il riferimento ideologico secondo l’influenza degli ambienti bolscevichi: venuti a contatto con i rivoluzionari iraniani nelle regioni azere. Tuttavia, la Russia zarista si contendeva il ruolo di potenza egemone con la Gran Bretagna, la cui influenza veicolò nella società civile persiana altri concetti di origine occidentale, primo tra tutti il liberalismo anglosassone, costruendo un bipolarismo ante litteram che non sfociò mai in vero e proprio Colonialismo: pur riproducendone alcuni degli effetti più sostanziali sulla Storia del Paese. Il crocevia storico che vide le posizioni russa ed inglese confrontarsi fu la Rivoluzione Costituzionale: sovrapponendo questa polarizzazione alle altre esistenti nella società civile persiana, con le conseguenti difficoltà di sintetizzazione politica che avrebbero poi scontato le Istituzioni. […]

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