Ilenia Bernardini, Recensione a Gian Luigi Cecchini-Giuseppe Liani, Il colpo di Stato. Media e Diritto Internazionale, Amon, Italia, 2012, pp. 447

Il volume che Cecchini e Liani consegnano alle stampe della Amon nel 2012 affronta un tema, quello del colpo di stato, oggi più che mai attuale. Occorre qui  puntualizzare come nell’immaginario collettivo occidentale, questo fenomeno sembri appartenere ormai al secolo scorso, anzi al secolo veloce o meglio “breve”, volendo chiosare la celeberrima definizione di Hobsbawm, dove tutto è passato  rapidamente: due guerre mondiali, la bomba atomica, le dittature di ogni colore, ed anche i colpi di stato, dal Putsch di Monaco del 1923, alla Polonia di Józef Pilsudski del 1926, al 25 luglio italiano, solo per accennarne alcuni ex multis. Fino agli ultimi, il golpe dei Colonnelli greci del 1967 e la rivoluzione dei garofani in Portogallo nel 1974, i quali, incaricandosi di sbaraccare le vestigia di dittature ormai anacronistiche e vetuste, spalancheranno le porte all’ultima ondata di democratizzazione, riempiendo, almeno in Europa, ogni tassello rimasto.

A scanso di cadere nella banalità della generalizzazione, bisogna specificare che ancora oggi nel vecchio continente si sono registrate e si registrano situazioni di crisi e democrazie a basso rendimento: basti pensare, tralasciando i paesi dell’Est, all’Italia. Il nostro Paese merita infatti una menzione particolare, a partire dalla sola considerazione che già negli anni di consolidato regime democratico, esso abbia più volte censito il rischio catilinario. In solo decennio, a cavallo tra i tormentati anni Sessanta e Settanta, si contano tre tentativi – fortunatamente falliti – di colpo di stato: il Piano Solo del 1964, il golpe Borghese del 1970 e il golpe bianco del 1974.

Certo, nonostante le deflagranti dichiarazioni sbandierate dai diversi attori dell’agone politico contemporaneo, l’Italia, pur se oggi, come in passato, si trova sull’orlo di una grave crisi politica che sembra sempre essere sul punto di trasformarsi in societaria, non può certo rappresentare la prossima vittima di qualche forza golpista tentata di instaurare de facto un nuovo ordinamento. Piuttosto sembra essere vittima di una cronica crisi nel regime che ha iniziato ad infettare le istituzioni italiane molto prima delle giornalistiche proclamazioni della seconda Repubblica; e vittima di una vita politica interna martoriata da un sistema partitico profondamente frammentato ed esecutivi instabili. Ma mai a vero rischio di rottura dell’ordinamento democratico instaurato con la Carta del 1948.

Lo stesso non si può dire del resto del mondo post-Guerra Fredda, soprattutto in Africa e in Asia. Basti soltanto pensare all’Egitto, all’Ucraina e alla Tailandia, per comprendere come questa “azione extralegale di conquista del potere”, che si accompagna ad azioni coercitive, spesso anche violente, sia ancora oggi una forma di instaurazione di nuovi ordinamenti, ma soprattutto di ricambio delle élites al potere.

Queste brevi considerazioni quasi automaticamente portano a riflettere sull’ossimorico, ma simbiotico, rapporto intercorrente tra politica e diritto, o meglio tra fatto politico e fatto giuridico. Il colpo di stato li contiene ontologicamente entrambi: è fatto politico quale evento contrario all’ordine giuridico-costituzionale vigente, ed è fatto giuridico quale evento producente un nuovo ordine giuridico-costituzionale. Ed il volume in questione sembra proprio essere stato forgiato su questa doppia essenza, analizzando e scandagliando in due differenti parti della pubblicazione i due lati della stessa medaglia. […]

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