Ripercorrere la biografia politica ed intellettuale di Errico Presutti offre l’occasione di ripensare, dal punto di vista di uno studioso immerso nella dimensione politica prima ancora della sua partecipazione alla vita parlamentare, la parabola dello Stato liberale nell’Italia post-risorgimentale, le ragioni della sua crisi in fondo più intrinseca che estrinseca, ma anche le profonde radici della rinascita democratica post-bellica.
Ho scelto a titolo del mio intervento un periodo tratto dal discorso tenuto alla Camera da Presutti il 20 luglio 1923, nell’accesa discussione della riforma della legge elettorale che avrebbe consegnato il 6 aprile 1924 al fascismo la vittoria nelle urne: “Uno Stato tanto più è forte, quanto più ha il consenso attivo e fattivo dei suoi cittadini”. Queste parole racchiudono la più sincera aspirazione del liberalismo italiano postunitario, pienamente consapevole della nascita dello Stato nazionale per opera di una minoranza: un obiettivo perseguito tra alti e bassi, destinato ad infrangersi a fronte dell’impatto della società di massa e della guerra totale. La partecipazione popolare alla Prima guerra mondiale avrebbe dovuto rappresentare la definitiva associazione delle masse alla vita pubblica, ma le istituzioni liberali – che proprio a questo risultato avevano puntato – mancarono all’appuntamento decisivo, vale a dire che non furono in grado di portare a termine il processo di democratizzazione della vita pubblica in cui avrebbe dovuto sfociare la concessione giolittiana del suffragio universale. […]
Mario Di Napoli, Uno Stato è più forte quanto più ha il consenso dei cittadini
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