Paola Bilancia, Lo Stato di Diritto come valore in una dimensione “spaziale”

Non è certo questa la sede per approfondire la tematica dello Stato di diritto, tematica sulla quale sono stai versati fiumi di inchiostro, ma sia sufficiente ricordare come questa locuzione abbia avuto connotati non sempre univoci nel tempo e nei territori, riflettendo le tradizioni giuridiche e sociali nelle quali essa veniva elaborata.
Com’è noto, lo stato di diritto nasce dalle ceneri dello Stato assoluto ed è consustanziale allo Stato liberale, anche se Carl Schmitt ricorda come col termine Stato di diritto si possono indicare differenti concezioni sia per i diversi significati da dare al termine diritto, sia rispetto alle molteplici organizzazioni implicite nel termine Stato. La vittoria della rappresentanza politica con la rivoluzione francese fece sì che il diritto apparisse essenzialmente sotto forma di legge, il diritto positivo fosse in sostanza la legge deliberata dai rappresentanti e il passaggio al principio della conformità alla legge di ogni attività dello Stato diveniva il carattere essenziale dello Stato di diritto, assegnandosi così un potere illimitato al legislatore, il solo in grado di limitare.
La legge crea il diritto oggettivo, la supremazia della legge si staglia su ogni tipo di attività dello Stato e la riserva di legge e, quindi il monopolio del legislatore, perimetra l’incidenza del potere sui diritti fondamentali di libertà; questi vengono assicurati quindi, in prima battuta, dal legislatore che diviene così il custode di ogni diritto, l’ultimo garante dell’ordine costituito, la fonte di ogni legalità. Il legislatore ha il monopolio della creazione del diritto cui farà seguito il principio della legalità dell’amministrazione che assoggetta alla legge tutta l’attività amministrativa: in definitiva, la conformità alla legge ed alla competenza (stabilita nella legge) finirà per creare un sistema chiuso di stato di diritto.
La teoria de l’Etat de droit, pertanto, affonda le sue radici nel pensiero illuminista e nella rivoluzione francese. La sua genesi è nella Dichiarazione dei diritti del 1789, che fungerà da preambolo anche alla costituzione del 1791 e ha come fondamento la garanzia dei diritti: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge”. La legge è, in ultima istanza, la legge scritta, espressione della volontà generale espressa dall’organo rappresentativo. La garanzia dei diritti si accompagna, però, alla separazione dei poteri, quest’ultima necessaria perché ogni potere corrisponde o, meglio, è espressione di un segmento della società e costituisce il baluardo dello Stato liberale per evitare la concentrazione di potere.

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