Alessandro Gigliotti, Dalla Corte un secco no ai referendum elettorali e alla reviviscenza in ambito referendario (nota a prima lettura a Corte cost. Sentenza n.13/2012)

Con la pronuncia in esame, la Corte è tornata per l’ennesima volta ad occuparsi della controversa questione dell’ammissibilità di richieste di referendum abrogativo in materia elettorale, a pochi anni di distanza dall’ultimo precedente, risalente al 2008. La peculiarità della situazione odierna va indubbiamente attribuita al fatto che le richieste hanno permesso di entrare nel merito di due aspetti molto dibattuti: la possibilità che l’abrogazione referendaria possa far rivivere la normativa previgente e quella che la Corte costituzionale, nella sede del giudizio di ammissibilità, possa sollevare davanti a se stessa una questione di legittimità delle disposizioni referendarie. Iniziando dal primo aspetto, certamente prevedibile era l’inammissibilità dei due quesiti, strutturati in modo differente ma finalizzati entrambi ad abrogare la legge Calderoli del 2005 per addivenire alla reviviscenza della normativa elettorale del 1993, meglio nota come legge Mattarella. L’inammissibilità dei due quesiti, infatti, è motivata dal puntuale richiamo alla giurisprudenza precedente ed ai consolidati requisiti che le richieste in materia elettorale devono rispettare, cioè l’omogeneità e la diretta operatività della normativa di risulta. In particolare, il primo quesito è inammissibile perché non risponde al secondo criterio, dal momento che l’abrogazione tout court della legge Calderoli priverebbe l’ordinamento delle norme per l’elezione delle due Camere, norme costituzionalmente necessarie e, in quanto tali, del tutto indefettibili. La Corte, infatti, respinge drasticamente, e senza mezzi termini, qualunque ipotesi di reviviscenza della normativa previgente, giungendo a tale conclusione sulla base di diverse ragioni.

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