Gabriele Maestri, Il contrassegno (politico-elettorale) tra diritto e mercato

Nell’occuparci di campagne elettorali e di propaganda politica esiste un argomento cui, probabilmente, non si dedica abbastanza attenzione, se non quando la cronaca finisce per occuparsene in casi eccezionali o per una mera curiosità. Il riferimento è ai simboli utilizzati dai partiti, dai gruppi e dai singoli candidati per partecipare alle elezioni: il loro deposito e il loro esame aprono di fatto ogni campagna elettorale e, per molto tempo, gli italiani votando hanno scelto i contrassegni prima ancora dei partiti e delle persone cui erano riconducibili. Oggi probabilmente non è più così: in questo intervento, si cerca di mostrare come, soprattutto negli ultimi tempi, l’emblema politico – anche al di fuori dei periodi elettorali – abbia assunto in modo sempre più evidente i caratteri del marchio, con una vicinanza (secondo alcuni imbarazzante) ai loghi commerciali.

1. Il concetto di «simbolo» e il valore identitario

Per iniziare, occorre fare una precisazione terminologica: prima si sono utilizzati i termini «simbolo» e «contrassegno» con riferimento allo stesso oggetto, ma in realtà non dovrebbero essere utilizzati indifferentemente poiché non sono fungibili. Anzi, proprio queste due parole riflettono la doppia natura degli emblemi politici: chiamandoli «simboli» ci riferiamo al loro valore identitario, che permetta a ogni singolo iscritto o simpatizzante di riconoscersi1; la parola «contrassegno» (che è quella utilizzata dal legislatore) esalta invece il loro valore distintivo […].

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