Mario Dogliani, La Corte habermasiana di D’Orazio

Il modo migliore per onorare Giustino d’Orazio è immettere le sue riflessioni nel dibattito attuale, a confronto con i problemi attuali della giustizia costituzionale. E’ ovvio che ciò potrebbe essere detto di tutti coloro che hanno dato al costituzionalismo contributi profondi, e dunque non dissolti nelle situazioni contingenti che li hanno determinati. Ma per D’Orazio il collegamento con l’oggi è di immediata evidenza, in quanto deriva dalla sua prefigurazione del problema “massimo” che per la giustizia costituzionale si è venuto via via ponendo in modo sempre più netto: il problema di definire in che cosa consista esattamente la natura di “giudice” della Corte costituzionale.

Prima di affrontare il problema, vorrei però esprimere la mia ammirazione per il suo volume La genesi della Corte costituzionale (1981).

Immediato è il riferimento al notissimo testo di Eugenio Garin La filosofia come sapere storico (1959). Verrebbe da dire, parafrasando, che il volume di D’Orazio potrebbe portare come sottotitolo: “Il costituzionalismo come sapere storico”. Invece delle consuete trame concettuali D’Orazio fa vivere nelle parole e nelle biografie dei costituenti e dei protagonisti del dibattito intellettuale del tempo i problemi e i conflitti che dovevano essere risolti per addivenire al compromesso costituente, rappresentando, in modo vivido e sanguigno, quei problemi nella ricostruzione delle loro ascendenze culturali e nelle loro implicazioni politiche.

Un’ulteriore annotazione quanto al suo metodo realistico di indagine.Fin dalla prima pagina della Introduzione di questo volume D’Orazio afferma la fecondità – per la sua ricerca – dei contatti con la scienza politica. E ripeterà molto spesso questa indicazione – anche negli scritti successivi – perché ciò che gli serve è la ricostruzione delle costanti rinvenibili «in quella non codificabile realtà» che è la tensione tra il ruolo assegnato normativamente all’organo della giustizia costituzionale e il ruolo di fatto assunto da quest’ultimo nella concretizzazione della sua funzione (ma lo stesso discorso vale, negli scritti successivi, per il ruolo del Parlamento).

Alla luce del libro – e della precisazione fin da subito avanzata da D’Orazio – non so se sia più esatto parlare, all’interno della alternativa che egli prospetta, di una ricerca della conferma di costanti – o addirittura di «leggi politiche proprie dell’evoluzione delle istituzioni costituzionali» – o non piuttosto, come egli ipotizza immediatamente, di una ricerca tesa «a tracciare o perfezionare certe linee di tipizzazione empirica». E aggiunge «se non di vera e propria teorizzazione»[1], ove per “teorizzazione” non si può non intendere una ordinata descrizione di una sequenza di tipi in senso weberiano (e dunque utilizzabili, nell’ambito delle scienze sociali, ad docendum; ma nel campo del diritto – o meglio: di un ordinamento valido – essendo tratti da norme valide, anche ad iubendum, cioè come principi dell’ordinamento stesso).

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