Giuliano Amato, Bachelet giurista

Ho ancora ben presente quel ricordo. Io arrivai tardi quella mattina. A quell’epoca, oltre ad essere il direttore dell’Istituto di Studi giuridici, presiedevo anche l’Istituto di ricerca della CGIL ed ero ad una assemblea vicino alla stazione Termini.
Mi giunse la notizia, inforcai il motorino, e quando arrivai Vittorio era già coperto da un lenzuolo bianco. Ricordo che alzai gli occhi, Rosy era riuscita dall’Istituto e teneva le mani sulla ringhiera guardando in basso; io allora salii, le tolsi le mani dalla ringhiera, a cui erano letteralmente avvinghiate, e la riportai dentro l’Istituto.

Fu l’ultima volta che vidi Vittorio, con il quale avevo avuto – dopo la mia chiamata a Roma- una intensità di rapporti legati, di sicuro ad una istintiva simpatia reciproca, ma anche, ad un modo di lavorare da giuristi che era molto, molto simile. Ricordo, dicevo pochi minuti fa alla Signora Bachelet, la Vostra casa in Prati, dove più volte ero venuto a trovarlo e gli avevo anche detto – non resisto a tenermelo- che da Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura era bene che accettasse una scorta. E lui non voleva saperne. Non voleva rinunciare assolutamente al suo venire qui come qualunque altro professore.

È già stato detto che Vittorio e Leopoldo Elia si laurearono uno dopo l’altro a distanza di un giorno – mi pare Vittorio il 24 novembre e Leopoldo il 25 novembre del 1947. Entrambi vissero da giovani studiosi la stagione del grande cambiamento istituzionale. Non a caso la tesi di Vittorio rifletteva un tema di cui l’Assemblea costituente stava discutendo proprio in quel periodo; un tema che poi diventò l’articolo 39, la semi-istituzionalizzazione del sindacato.

Di sicuro delle novità che il nuovo ordinamento gli metteva in quel periodo a disposizione lui fu uno dei primi e più pioneristici ed acuti analisti ed interpreti. Cosa che a qualcuno può sembrare più ovvia di quanto non fosse: “Sei un giovane giurista, ti capita una nuova costituzione – e Per Bacco!- la novità diventa la tua prateria”!

Ma se ricordate – lo possono fare anche i giovani- le caratteristiche che avevano allora gli studi giuspubblicistici, ma erano così anche quelli privatistici, vi accorgerete che uno come Vittorio – nonostante cavalcasse l’onda del cambiamento- era in realtà controcorrente.
Di cui Walter Bigiavi diceva nelle sue recensioni: “parte generale ed arriva colonnello” – erano caratterizzati in modo uniformemente monocorde: c’era una “parte generale”, costruita tutta sulla “concettuologia” pandettistica di derivazione tedesca- quale che fosse l’argomento; e, da una “parte speciale”, che sulla base di quella “concettuologia” esaminava un singolo istituto. Ad esempio, per la parte prima, capitolo uno: nozione di “organo”, capitolo secondo: nozione di “controllo”, capitolo terzo: nozione di “organo di controllo”. Seguiva la parte seconda, dedicata all’esame di uno specifico organo di controllo. Erano opere senza tempo queste, che potevano essere scritte con qualunque ordinamento positivo nella illusione che quella “concettuologia” potesse durare per sempre. Ma, nel frattempo, il mondo stava cambiando. Vittorio – lo noterà Sabino Cassese- scrive il suo primo libro, quello che ha avuto oggettivamente il maggior impatto, sul coordinamento dell’amministrazione pubblica dell’economia senza “parte generale” e senza “parte speciale”! E già con questo è ai limiti dell’eversione! Non solo, ma l’esame che lui fa è tutto un esame di diritto positivo dedicato ad un tema che molti giuristi ritenevano non giuridico; che era appunto quello del coordinamento. […]

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