Giulia Vasino, Recensione a A. Losacco, Autodichia degli organi costituzionali. Fondamenta e prassi, Napoli, Jovene, 2018, pp. 105

Con la sentenza n. 262 del 2017, anticipata dalla pronuncia “sorella” n. 213 dello stesso anno, la Corte costituzionale è tornata a far luce su un tema delicato e controverso come quello dell’autodichia degli organi costituzionali. L’espressione “far luce” non è casuale: il pregio della sentenza si ritrova proprio nell’aver eliminato ogni margine di dubbio sulla legittimità costituzionale dell’istituto. La giustizia domestica viene infatti qualificata come naturale estrinsecamento dell’autonomia normativa che la Costituzione riconosce, in modo esplicito od implicito, alle Camere, al Presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale. Il potere di disciplinare, con propri atti normativi interni, i rapporti che intercorrono fra tali organi e i propri dipendenti rappresenta certamente la più evidente manifestazione di tale autonomia, ma qui non si esaurisce, dovendosi necessariamente estendere, a dire della Corte, al piano interpretativo e applicativo di tali norme. Nel definire infondati i conflitti di attribuzione sollevati dalla Corte di Cassazione, il giudice delle leggi afferma che la riserva di giurisdizione di cui godono gli organi di autodichia “non comporta un’alterazione dell’ordine costituzionale delle competenze”, né una menomazione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente ma rappresenta, appunto, “razionale completamento dell’autonomia organizzativa” degli organi costituzionali in questione (sent. n. 262 del 2017, punto 7.3 in diritto).

L’affidamento a organi di giurisdizione comune del compito di interpretare e applicare la disciplina che regoli tali rapporti, anche in via meramente sussidiaria, determinerebbe, di fatto, uno svuotamento di tale autonomia. È proprio a partire dalla pronuncia “chiarificatrice” della Corte che si sviluppa la riflessione di Losacco. Consapevole che la sentenza in questione rappresenti il punto di arrivo – e forse di chiusura – di una giurisprudenza del giudice delle leggi piuttosto ondivaga in materia, decide di intraprendere il cammino a ritroso, sotto il profilo logico e cronologico. Da un lato, ricostruisce l’origine storica e il fondamento costituzionale della giustizia domestica, concentrandosi in particolare su quella esercitata dagli organi giudicanti delle Camere, di cui l’Autore ha potuto avere esperienza diretta, avendo ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio giurisdizionale della Camera dei deputati. Dall’altro, analizza l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul tema a partire dalla storica sentenza n. 154 del 1985, con cui il giudice delle leggi nega che i regolamenti possano essere oggetto di sindacato da parte della Corte, fino alla sopraccitata sentenza del 2017 che, come già detto, non fa altro che consolidare in modo esplicito questa specifica manifestazione dell’autonomia dell’organo rappresentativo. […]

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