Giulia Santomauro, Recensione a L. Risicato, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 93.

L’utilizzo e il significato che ha assunto il diritto penale in tempi recenti hanno talvolta valicato il confine di altre discipline, come quella del diritto costituzionale, nel senso che ne sarebbe stato minacciato il nucleo fondamentale delle garanzie della persona, e, in parte, anche della sociologia, poiché è stato lo strumento privilegiato per dare voce a paure proprie della collettività contemporanea. L’obiettivo del volume di L. Risicato, dal titolo “Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?” sembra, dunque, quello di investigare le motivazioni e le modalità tramite cui la normativa penale sarebbe stata vittima, in un certo senso, di un processo di involuzione legale per difendere una “sicurezza” del cittadino a tutti i costi. I “nemici” colpiti da questo trend securitario apparterrebbero principalmente alle categorie del “recidivo”, del “clandestino” e del “terrorista”, contro i quali si sarebbe sviluppato un diritto penale definito dall’Autrice non solo come discriminatorio, ma anche “strumentale”, “simbolico” e “pletorio”. Difatti, molti degli interventi legislativi degli ultimi anni sarebbero stati concepiti con una logica prettamente punitiva, più che rieducativa, verso i “diversi”, con tecniche di formulazione delle fattispecie delittuose basate sull’incriminazione anticipata, rinforzata da numerose sanzioni amministrative inflittive o misure di prevenzione.

In tal senso, la prerogativa della “sicurezza” versus soggetti ritenuti “pericolosi” si porrebbe a discapito dei diritti individuali universali e, più specificatamente, del sistema di tutela del diritto penale, dando nuovamente vita alla legittimazione del Feindstrafrecht. Il “diritto penale del nemico” può essere descritto, come viene ricordato, almeno da tre caratteristiche, ossia: l’individuazione dell’autore del delitto con un determinato gruppo sociale, la conseguente criminalizzazione di quello status per mezzo di una de-giurisdizionalizzazione del processo applicativo della pena e una risposta sanzionatoria volutamente esclusiva del colpevole, il quale deve essere “neutralizzato”. Una simile spinta espansiva e potenzialmente militarizzante si collocherebbe, quindi, in naturale contrapposizione con il diritto penale di matrice liberale. A questo punto, viene delimitato il concetto di sicurezza, il quale sarebbe mutato da condizione necessaria per l’esercizio dei diritti fino a divenire oggetto di tutela giuridica indipendente. In effetti, il diritto alla sicurezza è ripreso sia a livello internazionale dall’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo («Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona»), che europeo dall’art. 6 della Carta di Nizza («Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza»), che costituzionale dall’art. 41, comma 2 della Carta fondamentale […]

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