Gianluigi Fioriglio, Sorveglianza e controllo nella società dell’informazione. Il possibile contributo dell’etica hacker

La Società dell’informazione è sempre più una società della sorveglianza e del controllo, grazie alla concorrenza di molteplici e ben noti fattori e fenomeni, informatici e non. Fra essi possono qui ricordarsi la diffusione delle nuove tecnologie, la loro convergenza e pervasività, la globalizzazione, gli “allarmi sicurezza” a vario titolo, e così via. In tale quadro, qui solo brevemente accennato, sembrano trovare nuovo stimolo quei timori circa la tutela della “privacy informatica” che venivano paventati negli anni Settanta. Oggi, infatti, la persona non solo è sempre più trasparente ma anche sempre più digitalizzata e profilata.

Da un lato, strumenti informatici sempre più evoluti, ivi inclusi agenti software di elevata complessità, consentono di acquisire costantemente una notevole mole di dati personali, che, più specificatamente, vengono raccolti ed elaborati automaticamente per i fini più diversi, senza che gli interessati ne abbiano spesso contezza. Consentono, altresì, di bloccare, filtrare o comunque controllare contenuti ritenuti illeciti o contrari al regime politico dominante.

Dall’altro, bisogna considerare i rischi derivanti dall’evoluzione verso il web 2.0, prima, e il social web, poi, in cui il passaggio da una prospettiva top-down a una (seppur parziale) prospettiva bottom-up porta molti soggetti a perdere, più o meno volontariamente, il controllo di alcuni dati personali che li riguardano mediante la loro comunicazione a terze parti e la loro diffusione.

La problematica centrale al presente saggio ha tuttavia radici ben lontane, ove non si tenga presente esclusivamente la situazione contemporanea ingenerata dall’incessante incedere delle tecnologie ma piuttosto si prenda in seppur breve considerazione l’importanza concettuale e pratica della segretezza.

In tal senso, il punto di partenza non può che essere costituito dalla narrazione di Platone dell’anello di Gige e delle nefandezze che chiunque potrebbe compiere qualora avesse la certezza di non essere scoperto: “privatamente ogni uomo giudica assai più vantaggiosa l’ingiustizia che la giustizia” e dunque ogni uomo si rivela nella sua essenza reale quando nessuno può vedere ciò che fa. La sorveglianza sociale è così un freno alle azioni dell’uomo e tale concetto è tuttora alla base di molte giustificazioni pratiche circa l’utilizzo di strumenti di sorveglianza e di controllo.

È evidente oltre che ben nota la correlazione con il concetto che sta alla base del modello di Panopticon teorizzato da Bentham: esso va ben oltre l’originaria matrice carceraria e rappresenta perfettamente il concetto di sorveglianza costante ancorché potenziale, va ad investire l’insieme delle relazioni sociali, da cui si può evincere che la sorveglianza è idonea a generare assetti nuovi dei poteri nonché a configurare la stessa costituzione del soggetto.

Come evidenziato da Foucault, “il dispositivo panoptico non è semplicemente una cerniera, un ingranaggio tra un meccanismo e una funzione; è un modo di far funzionare delle relazioni di potere entro una funzione, e una funzione per mezzo di queste relazioni di potere”.

Nel pensiero di Bentham, la sorveglianza consente di raggiungere diversi fini. Questi possono consistere in “punire i criminali incalliti, sorvegliare i pazzi, riformare i viziosi, isolare i sospetti, impiegare gli oziosi, mantenere gli indigenti, guarire i malati, istruire quelli che vogliono entrare nei vari settori dell’industria, o fornire l’istruzione alle future generazioni” e possono essere raggiunti mediante la costruzione dei relativi edifici “ove gli individui che devono essere controllati saranno il più assiduamente possibile sotto gli occhi delle persone che devono controllarli. L’ideale, se questo è lo scopo da raggiungere, esigerebbe che ogni individuo fosse in ogni istante in questa condizione. Essendo questo impossibile, il meglio che si possa auspicare è che in ogni istante, avendo motivo di credersi sorvegliato, e non avendo i mezzi di assicurarsi il contrario, creda di esserlo”; è altresì importante “che per una porzione di tempo la più lunga possibile, ogni uomo sia realmente sotto sorveglianza”.

Per il filosofo inglese, i vantaggi del Panopticon sono di vario ordine e spaziano, in particolare, dalla onnipresenza potenziale del sorvegliante al fatto che tale metodologia di controllo si ripete in relazione all’intera scala gerarchica all’uopo in essere, per cui tutti saranno sorvegliati. E, in risposta all’interrogativo circa il controllo dei controllori, propone di punire ogni mancanza con la massima severità: “È questo fatto che rende l’influsso del progetto non meno salutare a ciò che si chiama libertà che alla necessaria coercizione; non meno potente come controllo sul potere subordinato che come freno alla delinquenza; come schermo all’innocenza che come castigo per il crimine”. […]

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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. La società della sorveglianza e del controllo 2. Da “privacy e sicurezza” a “sorveglianza e sicurezza” 3. La sorveglianza elettronica 4. Possibili evoluzioni e contributi dell’etica hacker

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