Francesca Petrini, La reviviscenza delle norme abrogate

Le vicende referendarie del 12 e 13 giugno scorso hanno dato “nuova vita” all’istituto del referendum abrogativo che, da ormai 15 anni, sembrava aver perso la propria attitudine ad influenzare l’indirizzo politico e, ancor di più, ad “incidere” l’ordinamento giuridico. Espressione di una precisa scelta in ordine al tipo di sistema democratico rappresentativo adottata dai costituenti, “potente strumento di legittimazione istituzionale”, il referendum abrogativo è stato nuovamente proposto come “via normativa” al cambiamento della legge elettorale. È difficile non considerare che, al momento attuale, la democrazia italiana sta vivendo delle difficoltà quanto a rappresentanza, consenso e fiducia nelle istituzioni: si tratta di una tendenziale delegittimazione del ceto politico, aggravata pure dalla sostituzione della c.d. legge Mattarella, adottata a fronte del risultato referendario del 1993 e comunque non esente da limiti, con la “scellerata” legge 21 dicembre 2005, n. 270, dallo stesso estensore definita “porcata” e, quindi, da molti sinteticamente indicata come “Porcellum”, secondo la denominazione coniata dal politologo Giovanni Sartori. Stante ciò, se la forza delle istituzioni nasce dalla loro legittimazione democratica, sempre più forte è sorta l’esigenza di un cambiamento del vigente sistema elettorale: dunque, poiché, com’è noto, ciò non è avvenuto nella scorsa legislatura e pare non sia nei programmi del Governo della legislatura in corso, ben si comprendono i propositi alla base dei tentativi di riforma elettorale portati avanti in questi ultimi anni attraverso il ricorso allo strumento referendario.

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