Augusto Cerri, La crisi economica e le prospettive europee

Le sofferenze finanziarie ed economiche attuali sono probabilmente l’effetto di una serie di cause non facilmente identificabili per chi non è esperto della materia.

È probabile che fra queste cause debba annoverarsi anche una mondializzazione dell’economia, di certo benefica, per gli elementi di pace e di solidarietà fra le nazioni che comporta, ma anche idonea ad introdurre fattori di concorrenza fra sistemi, senza poi che sussistano adeguati strumenti di controllo.

Si è ritenuto di poter contrastare la tendenza all’aumento dei deficit di bilancio, con un insieme di regole, nel quadro di una presumibilmente adeguata crescita economica. In questo contesto si collocano i c.d. “parametri Maastricht”, le regole di un aumento annuale del disavanzo nei limiti del 3%, nell’ambito di un deficit globale da contenere o da riportare al 60%.

La crisi prima finanziaria e poi anche economica venuta dall’America ha, però, turbato l’equilibrio e l’armonia di un pur ragionevole progetto di rientro o di contenimento del disavanzo pubblico, perché ha turbato uno dei presupposti di tale programma: un adeguato sviluppo economico.

In questo quadro si trova a navigare l’Europa senza una guida sicura, perché diverse ricette di politica economica si fronteggiano e nessuna riesce a prevalere decisamente, perché ancora non si configura una vera responsabilità politica di un qualche governante nei confronti di tutti i governati (intendo dire nei confronti di tutti i cittadini europei, insieme considerati, e non solo nei confronti dei cittadini di un certo Stato); perché, in definitiva, non è forse ancora pieno ed intero il compenso fra limitazioni di sovranità, cui sono andati incontro i singoli Stati membri, ed acquisizione di sovranità da parte dell’Unione europea. Lo scambio fra libertà individuale e partecipazione eguale di cui ci ha parlato Rousseau, ma anche, in termini leggermente diversi, ma, ai presenti fini, equivalenti, Cesare Beccaria, non è ancora avvenuto in misura soddisfacente, questa volta a livello di Stati; e perciò permane una sorta di “terra di nessuno” che le pur egregie iniziative della Banca centrale europea non riescono a riempire del tutto e che non riesce a riempire del tutto il metodo dei negoziati fra nazioni, con i suoi “costi di transazione” (tempi prolungati, veti incrociati, etc.) che gli economisti hanno ben illustrato in altri campi e che valgono pure nel contesto in esame.

Il metodo pattizio, in questo contesto, conduce anche ad indiscutibili asimmetrie fra potere esercitato e responsabilità politica.

Certo, il quadro istituzionale è in evoluzione e, senza dubbio, l’Unione Europea ha fatto indiscutibili passi avanti, sotto questo profilo: una campagna elettorale finalmente “politica” che ha visto contrapporsi in modo chiaro diverse linee programmatiche; un accordo “politico”, all’indomani delle elezioni, fra partiti europei che rappresentano la maggioranza nel parlamento europeo.

Tutto questo è avvenuto attraverso prassi virtuose senza un mutamento del consolidato normativo dato dai trattati.

In questo quadro assume rilievo l’impegno per “investimenti europei”, certo tardivo, quando non poche nazioni dell’Europa hanno dovuto sopportare sacrifici gravissimi; ma, mi permetto di sperare, benefico.

Riuscirà questo programma di investimenti a riattivare la crescita, in una misura adeguata ad una situazione già compromessa per altri versi?

Riusciranno a questo scopo misure di riattivazione dei consumi venute in essere negli Stati Uniti e promesse in Germania, misure orientate nel medesimo senso già realizzate o da realizzare in Italia, il cambio più favorevole alle esportazioni con il dollaro americano, la selezione e riqualificazione degli investimenti avviate in Francia?

Questo programma di crescita dovrà essere accompagnato ancora da non poca austerità, ma questa austerità rischia a sua volta di bloccare la crescita. […]

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