Arianna Gravina Tonna, Recensione a M. Croce (a cura e con un saggio di), Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 240

Esistono pochi libri che, per usare una felice sintesi nietzschiana, sono nati postumi. Tra questi vi è certamente L’ordinamento giuridico di Santi Romano. Mariano Croce, curatore della riedizione di questo classico della letteratura giuridica – a cento anni dalla sua prima pubblicazione – e autore di un saggio in calce all’opera dal titolo La tecnica della composizione. Per una storia futura de L’ordinamento giuridico, definisce Santi Romano “genio di una filosofia” nel senso delineato da Deleuze, cioè che “si misura innanzitutto secondo le nuove distribuzioni che essa impone agli esseri e ai concetti” (cit. p. 187). Nonostante la teoria romaniana sull’ordinamento giuridico fosse necessariamente declinata dal contesto storico di riferimento, precursore di nuovi e dirompenti sommovimenti sociali, Croce chiarisce bene che “il taglio offerto (…) riguarda piuttosto un modo di pensare il diritto che sfugge a qualsiasi presa contestuale, a qualsiasi riduzione della parola a un dato tempo storico, e si fa carico di una forma coraggiosa di hybris” (cit. p. 189): quella di definire il diritto con una spiegazione tutta interna allo stesso, “un discorso autologico” (cit. p. 196), con la conseguenza di divenire la principale e più coerente confutazione – quasi una reductio ad absurdum – del normativismo allora dominante. Fu Romano a rendere evidente la fondamentale contraddizione del giuspositivismo, nelle sue declinazioni statalista e normativista, ossia l’affermazione della mera identità tra diritto e norma (statuale), salvo definire il concetto di norma mediante il ricorso ad elementi extragiuridici.

Altrove, specialmente nell’indagine filosofica e sociologica, si era già pienamente individuata l’origine storicamente contingente dello Stato (si pensi, in particolare, all’opera del 1884 di Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato): ciò che mancava alla teoria generale del diritto. Romano sgombra il campo d’indagine da ogni dubbio immediatamente, nell’apertura della sua opera: il concetto di diritto “anzitutto deve ricondursi al concetto di società”: “quel che non esce dalla sfera puramente individuale, che non supera la vita del singolo, come tale non è diritto (ubi ius ibi societas) e inoltre non c’è società, nel senso vero della parola, senza che in essa si manifesti il fenomeno giuridico (ubi societas ibi ius)” (cit. p. 37). Il diritto, quindi, affonda le proprie origini e fondamenta nella società e nell’ordine sociale che lo esprime. Ma la svolta concettuale della teoria romaniana è tracciata poco dopo: “il diritto, prima di essere norma, prima di concernere […]

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