Arianna Gravina Tonna, Recensione a C. Miccichè, Beni comuni: risorse per lo sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, pp. 205

Il problema giuridico dei beni comuni, non più definibile come recente – atteso che l’evidenza della loro tragedia ha fatto ingresso nella dottrina giuridica e nella letteratura scientifica a partire dagli anni ’60 del secolo scorso –, ha reso manifesta l’inadeguatezza del diritto pubblico nel dare argini normativi alla globalizzazione. Non può dirsi, infatti, che gli scenari attuali di erosione e compromissione delle risorse ambientali fossero ignoti al diritto e alla scienza: risale al 1972 il primo Rapporto sui limiti dello sviluppo, realizzato dal Massachussetts Institute of Technology su richiesta del Club di Roma, che descrisse e dimostrò l’insostenibilità ambientale e sociale dell’attuale modello economico – nonché, a fortiori, degli apparati normativi che lo sostengono – per il futuro delle generazioni e del pianeta.

Questo iato del diritto pubblico rispetto al divenire storico e politico della società si mostra in tutta la sua evidenza riguardo alla proprietà e al regime giuridico dei beni, in particolare ambientali. Come spiega l’A. nel corso del primo capitolo, è un profondo riscatto dalla propria storia quello che incombe sul diritto: infatti, i beni comuni cui fa riferimento l’odierno dibattito giuridico “sono altro – per certi versi perfino l’opposto – dei beni comuni della tradizione romanistica, ossia delle res communes omnium”; ciò in quanto “i beni comuni di cui adesso si discute prescindono dal regime proprietario e mirano a governare la scarsità – anche solo qualitativa – di risorse” (cit. p. 18). In altri termini, l’abbondanza delle matrici ambientali è ormai un fatto che appartiene alla storia del diritto, non al presente: “i beni comuni di stampo romanistico includono e dettano il regime giuridico di cose che sono per definizione abbondanti” (cit. p. 19), mentre oggi “il pericolo di estinzione delle risorse (…) ha finito per tingere di doverosità le antiche libertà, mutando la disciplina di alcuni beni” (cit. p. 21).

Il tentativo, operato unitamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza negli ultimi anni, di dare un nuovo corso ermeneutico al regime dei beni, soprattutto ambientali, si è orientato nel senso di una rimodulazione in senso espansivo della funzione sociale del diritto di proprietà, […]

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