Alessandra Quadrini, Recensione a Wael B. Hallaq, Introduzione al diritto islamico, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 260

Un individuo su cinque oggi appartiene alla fede islamica, afferma l’autore di questo volume, edito e tradotto per l’Italia dal Mulino nella prima edizione del 2013. Eppure, persino nel mondo accademico europeo ed occidentale contemporaneo poco ancora è realmente noto su religione e cultura islamica, e ancor meno su ciò che sta alla base della società islamica, come ad esempio, le sue fonti, la formazione dei giudici, la stratificazione normativa, l’amministrazione della giustizia. In questo, il libro in questione, scritto da Wael B. Hallaq, professore di Diritto Islamico presso l’ Università McGill di Montrèal, si rivela subito un valido strumento di indagine sul mondo giuridico islamico, avendo premura di introdurre concetti e categorie (come quello di haram o di fard, ad esempio, che si vedranno più avanti), ignote e comunque lontane al giurista occidentale contemporaneo, e lo fa in modo lineare, suddividendo il libro in due momenti (età pre-moderna e moderna, che vide l’avvento della colonizzazione e di fratture nel mondo arabo), e corredando l’opera di un interessante glossario terminologico e di una cronologia delle fonti del diritto che si apre proprio con l’anno 610, anno cioè in cui il profeta Muhammad riceve la sua prima rivelazione. E ciò non stupisca. È lo stesso professore, infatti, già nell’introduzione, a tracciare una netta linea di demarcazione fra i due mondi: quello dell’ autogoverno comunitario islamico dell’età pre-moderna e quello occidentale, in cui è lo Stato – e la sua complessa evoluzione storico-costituzionale che ha conosciuto diversi momenti di catarsi – a disciplinare l’educazione del futuro giurista, che studia in scuole pubbliche e/o private ma comunque sottoposte a leggi emanate dallo Stato. Ed è poi il giurista, quale scienziato del diritto – che professa cioè la scienza del diritto, o ne fa oggetto di studio e di pratica – ad essere sottoposto, al pari degli altri cittadini dell’ ordinamento statuale costituito, alla legge statale, che permea così ogni aspetto della vita sociale tale da spiegare perché la teoria legale nel mondo occidentale abbia avuto al suo centro tutto un discorso sull’affermazione e lo sviluppo delle libertà individuali negoziate da e con lo Stato. Per stessa ammissione del professore, una siffatta situazione sarebbe stata inconcepibile nel mondo islamico. In età pre-moderna senza dubbi, dato i poteri non pervasivi dello Stato in quell’epoca, per cui risultava possibile per un una famiglia di Baghdad, spostarsi al Cairo, senza attraversare frontiere né mostrare documenti né avere l’obbligo di residenza geografica. Ciò era dovuto ad una quasi totale assenza di uno Stato-apparato, contrapposta ad una pervasiva presenza, all’interno di ogni comunità e/o villaggio, di un centro di autorità ricoperto dal muftì, che, assieme ad altri tre funzionari, quali l’autore-giurista, il qadi e il professore di diritto, svolse un ruolo fondamentale nella costruzione ed applicazione della shari’a, che altro non è che la Legge dell’Islam, oggi connotata di valenze eminentemente negative. Il muftì può essere paragonato ad un giureconsulto, uno specialista privato, che però si riteneva legalmente e moralmente responsabile della comunità in cui viveva, ma non rispetto al potere politico e agli interessi di chi lo deteneva. Ciò, perché, avverte l’autore, in lingua araba tuttora non c’è una distinzione concettuale fra ciò che è morale e ciò che è legale, anzi, i due termini si equivalgono. E dunque il muftì, essendo investito da questa autorità morale/legale, era chiamato ad emettere una fatwa, ovvero a dare un responso ‘legale’ rispetto ad una questione che qualche membro della comunità, sia ricco che povero, poteva sottoporgli a titolo gratuito. Così si dica pure per le altre figure sopraindicate: tutte autorevoli personalità nelle comunità in cui vivevano, che erano rispettate per la loro sapienza e per la loro moralità e che presiedevano a gran parte della vita comunitaria, di cui conoscevano profondamente gli usi e i costumi, e controllavano le importantissime waaf, le Fondazioni Pie, che costituivano più della metà di tutta la proprietà immobiliare e sostenevano il sistema di amministrazione della giustizia con donazioni a moschee, scuole ed università religiose, ospedali ed opere pubbliche. […]

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